Rimembrando una Claudia

Si comincia un anno nuovo guardando avanti. I resoconti, le pulizie nella soffitta della memoria, le tassonomie gerarchiche tra i nostri ricordi, personali e collettivi, li abbiamo bruciati con la fine dell’anno. Ma noi, come l’angelo di Benjamin – il pennuto di Paul Klee, anzi – volgiamo lo sguardo indietro, per proseguire, tra le rovine della Storia.
E a proposito di angeli e rovine, tra cenoni e distillati, lo sguardo si sofferma pigramente su un volto, colto sfogliando l’ultimo numero dell’annata di Nuovi Argomenti (ottobre-dicembre 2004): un viso noto, ma fioco, per il lungo silenzio. Claudia Ruggeri, nata a Napoli nell’estate del 1967, ma cresciuta a Lecce. A Lecce morta, ventinove anni dopo. Suicida. E’ l’ottobre del 1996. E’ sabato pomeriggio. Rientrata a casa. Ripiegati gli abiti ordinatamente. Per un lancio nel vuoto.
Claudia entra così fatalmente nella teoria di quelle inosservate leggende che popolano il distratto nostro mondo delle lettere, accanto ai Salvatore Toma, accanto agli Antonio Verri, troppo presto sottrattici, con la loro promessa dura e rigorosa di poesia. Sentieri interrotti.
«La ragazza dal cappello rosso», l’omaggio che Mario Desiati riserva a Claudia Ruggeri sulla prestigiosa rivista mondadoriana, è l’ennesima conferma del buon lavoro che il giovane intellettuale di Valle d’Itria va svolgendo per sé, in quel di Roma, ma soprattutto per la sfrangiata comunità pugliese delle lettere (sulle stesse pagine, segnaliamo anche la particolare lettura di Rocco Scotellaro condotta dal poeta nocese Vittorino Curci).
Dire di Claudia Ruggeri, infatti, significa dire di un mondo (solo ieri, e già finito?) di rapporti, di incroci, di espressioni giocati sulla lama affilata della parola poetica, che gli attuali orientamenti delle cose sempre più mettono in ombra. Già dalla metà degli anni Ottanta Claudia Ruggeri, giovanissima, imponeva la malìa della propria pronuncia e della propria fisicità fascinosa nel vitale fermento culturale salentino. Un’animazione intelligente che, grazie soprattutto agli amici de l’incantiere e al festival Salentopoesia, portava a Lecce e dintorni le migliori penne nazionali, sollecitando scambi proficui con la scena pugliese.

Dario Bellezza fu tra i primi a lasciarsi travolgere dalla vitalità espressiva della Ruggeri. Nascerà una consuetudine, che si spezzerà solo il 31 marzo del 1996, quando l’Aids toglierà il respiro al poeta di Lettere da Sodoma. Sette mesi dopo toccherà a Claudia raggiungerlo, con un gesto più volte presagito, annunciato, ma forse arduo da decifrare per tempo, poiché immerso abilmente nella scena barocchissima della sua finzione (la stessa cosa ècapitata al barese Massimo Lala, personaggio di spicco della scena punk nostrana, ma anche attore, illustratore, poeta, non senza pregi, morto suicida a Roma nel novembre del 1994 – a proposito, nessuno di noi ha ricordato, come avrebbe dovuto, il triste decennale – annunciando più volte nei suo versi, pubblicati postumi, l’estremo volo dalla casa materna).
Scena barocca, dicevamo. Ciò che ricordiamo della sua poesia è infatti difficilmente scindibile dal ricordo della spettacolarizzazione della stessa. Teatralizzazione manieristica, performance vocale sovraccarica, artificiata, per un dissonante mix di cultura aulica avidamente ingurgitata e acerba avventatezza adolescente. Sulla pagina, quei versi ostentavano citazionisticamente autori, calchi, pasticci. Glielo rimproverò senza mezzi termini Franco Fortini, nel 1990: Claudia avrebbe dovuto «rovesciare quanti modelli porta in sé e fare piazza pulita». Scheletri, frammenti, embrioni di poetiche nelle quali si aggirava inquieta e irrisolta la voce della poetessa, in un abuso ubriacante di arcaismi, di poeticismi, di imperfetti metricismi. Poesia ardua, nella lingua e nelle figure, ambiziosa, quando non pretenziosa, impelagata nelle inattuali evocazioni del Mito, ma per questo singolare e degna di recupero.
E ciò che oggi resta non sono che pagine scritte, fitte, minute. L’opera raccolta in due sillogi impubblicate, Inferno Minore e Pagine del Travaso. Più un numero ragguardevole di componimenti esclusi. Di questo lascito dà preziosa contezza Mario Desiati. All’efficace medaglione sulla poetessa scomparsa, con aneddoti, testimonianze e commenti critici, egli ha affiancato una serie di ritratti fotografici della stessa e, naturalmente, una selezione significativa di versi.
Colpisce questo omaggio, che ci restituisce appieno l’amaro sapore di una vita incompiuta (o, chissà?, proprio in tal modo compiutissima, finita, terminata). E colpisce ancor più se prestiamo orecchio alle polemiche di questi giorni sui rapporti tra la nostra piccola editoria locale e le nuove generazioni di scrittori: un sentiero esistenziale interrotto è un monito per tutti e un richiamo a serie responsabilità. Sempre di più, almeno sul fronte poetico, la nostra migliore letteratura (Toma, Verri, Ruggeri, appunto) è letteratura in forzata decomposizione. Alla decomposizione della carne, non aggiungiamo quella ancor più triste della memoria e dell’impegno.
Il romanzo La carne muore, “rifiutato” dagli editori (vedi su musicaos), del giovane salentino Rossano Astremo, non è certo quel caposaldo narrativo che molti qui si aspettano. Ma al di là dei meriti e dei demeriti letterari, esso ha riproposto forte quella questione della memoria, della responsabilità politico-culturale e del rinnovato impegno. La figura di Claudia Ruggeri, e degli altri dimenticati, anima le pagine del romanzo e in qualche modo torna a farsi presente.

(di Enzo Mansueto su Claudia Ruggeri)

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