Claudia Ruggeri tra Amore e Amaro Carnevale

Claudia Ruggeri nasce nel 1967 a Napoli, città che insieme a Lecce rappresenta il confine che delimita la sua esistenza biografica, ovviamente intesa solo in senso fisico e non intellettuale come vedremo, e che anche rappresenta i due dati fondamentali che qui voglio utilizzare per farvi meglio comprendere una poetica non semplice, oscura e nel primo impatto e nell’approfondimento quando lo si fa sui suoi versi. Questi due dati, questi due termini chiave, sono “inizio” e “fine”. L’inizio e la fine di Claudia Ruggeri, geograficamente, sono Napoli e Lecce. È nata a Napoli ed è morta a Lecce, suicida. L’inizio e la fine di Claudia Ruggeri sono altresì l’ideale, la tensione all’ideale, e la realtà, la caduta rovinosa in una realtà concreta, pregnante. Tanto più dolorosa quanto più alto è stato l’ideale. E qui è assai significativo ricordare che Claudia Ruggeri si è suicidata gettandosi dalla finestra, non solo nel vuoto come in qualche modo lo è nell’immaginario collettivo, ma proprio cadendo a terra. Rovinando dall’altezza dell’ideale alla concretezza amara della realtà. E in tutto questo si interseca, si incastra, la poesia, come atto di sublimazione di sé, di costruzione di realtà altra a partire dall’ideale altissimo che finisce con il frangersi contro gli scogli della realtà. In questa dicotomia, in questa contrapposizione di ideale e realtà che sono il suo inizio e la sua fine, si può a pieno comprendere il significato appunto di ideale e realtà in Claudia Ruggeri. L’ideale è l’amore. La realtà è l’amaro carnevale che è la realtà densa della sua delusione.

Claudia Ruggeri utilizza la poesia, il verso, Claudia Ruggeri utilizza addirittura la “parola”, la “parola”, e non tralasciamo di sottolineare che questo è uno dei suoi grandissimi pregi, l’aver ripreso l’importanza fondamentale della “parola” al di fuori di tutto ciò che è stata la nostra storia letteraria. L’ermetismo, con il peso della parola, e tutto ciò che è venuto dopo come contrapposizione all’ermetismo. Claudia Ruggeri ha superato tutto questo. Ha ricostruito la lingua. Dicevo Claudia Ruggeri utilizza la poesia, la parola, appunto per sublimare se stessa in tutta una fiera di commistioni linguistiche, di citazioni prese e fatte proprie, al fine in qualche modo di costruire questa realtà altra, iperuranica, dove l’amore sia amore perfetto, sia amore in quanto tale, sia disperatamente amore nel quale completamente immolarsi. Infatti non per niente prima ho sottolineato il fatto che il suo suicidio avvenne proprio gettandosi contro la realtà della terra, contro l’amaro carnevale che è il mondo in contrapposizione con i suoi voli intellettuali, sentimentali, sempre delusi dalla realtà stessa. Che così diventa appunto amaro carnevale. Non a caso l’ho sottolineato in quanto la morte di Claudia Ruggeri non fu negazione di sé, non fu nemmeno ricerca della felicità in senso pascaliano oserei dire, fu sublimazione di sé oltre l’implosione prima esistenziale poi poetica che lei sofferse.

Claudia Ruggeri ebbe problemi con l’alcool, ebbe momenti di smarrimento mentale, d’implosione ripeto. Questo perchè Claudia Ruggeri era una ragazza dall’intelletto talmente sublime, e chi la conosceva ha sempre confermato la cosa, da tendere in maniera quasi romantica al sublime, alla perfezione. E questa perfezione che lei cercava la cercava appunto nell’amore. Ma non in un amore astratto, ideale che rimane utopia. Claudia Ruggeri cercava l’amore nella sua vita. Nella vita che si tocca con le mani. Nella vita che si vive ogni giorno. Ma se pure la sua mente riusciva a concepire la grandezza dell’amore in maniera così raffinatamente intelligente, non riusciva purtroppo a comprenderne l’impossibilità nel reale. Perché quella forma d’amore così alta e così grande è purtroppo quasi impossibile. Dico quasi, non voglio qui posizionarmi in un’area di pessimismo cosmico alla fin fine inutile. Sottolineo soltanto il fatto che Claudia Ruggeri cercò uomini che la amassero, cercò uomini da amare lei stessa per poter toccare quella vita, quell’amore, per potersi sublimare come voleva diventando lei stessa ideale, mito, ma nella vita vera. Cercò uomini e trovò uomini che non serve qui specificare, possiamo tutti immaginarlo. Claudia Ruggeri visse delusioni cocenti ma la sua non era un’anima che rinunciava e si disperava. Tentava ancora, cercava ancora, e quando la realtà non riusciva più a dargli un riscontro adeguato alle sue esigenze, perchè guardate che per quanto possiamo discuterne l’amore è comunque un’esigenza, è sempre un’esigenza, quando la realtà la faceva cadere nell’amaro carnevale che è tutto un insieme di volontà di vivere di essere felici e l’amarezza di vedere quella vita e quella felicità di fatto assenti, irraggiungibili, quando la realtà diveniva delusione, Claudia Ruggeri si rifugiava nella sublimazione letteraria, poetica, teatrale anche, ottenendo così un’espressione piena, totale, vissuta, della sua esperienza. E la grandezza di questa poetessa guardate è di fatto insinuante in quanto non è solamente la sua eccezionale capacità tecnica, o performativa, o la profondità possiamo dire della sua anima. Ma è tutto questo e la capacità dei suoi versi, nonostante la loro oscurità e addirittura ancor più di quanto riusciva a fare l’autrice stessa nella sua vita, Claudia Ruggeri con le persone a lei vicine, la capacità dei suoi versi dicevo di diventare una riflessione che tutti sentiamo dentro. Che tutti condividiamo. Che tutti soffriamo anche.

Vorrei citare qualche verso che poi ho utilizzato per scandire il saggio che ho avuto occasione di scrivere per Terra d’Ulivi, l’unico fino ad ora esistente su questa poetessa, proprio per farvi sentire cos’è la parola di Claudia Ruggeri e cos’è la sua sostanza poetica. In sintesi per farvi sentire quanto vi ho appena detto proprio nei suoi versi.

Salve sono tornata: sono malata malata d’amore
amo la tua continua consegna mondana amo
inappagata questa mandragora murata
Questa tensione alla morte
era un amore. Un amore geniale.
Oppure mi sarei fatta altissima.

Un amore che si tocca veramente con mano, che si sente pulsare. Claudia Ruggeri sostanzialmente percorse nelle sue opere un’altra Divina Commedia ma tutta terrena, condensata, minore, appunto il titolo della sua opera più compiuta e più grande, ”Inferno Minore” che parte da un contesto nemmeno infernale guardate, parte direttamente da un contesto purgatoriale tanto per capire quant’era forte l’aspirazione di questa donna che negava a priori la disperazione dell’inferno, e che finisce con il cadere nell’amaro carnevale dell’impossibilità di raggiungere il paradiso, l’amore.

L’opera seguente e ultima di Claudia Ruggeri è “Pagine del Travaso” che ricalca in maniera quasi malata, ridondante, l’”Inferno minore”. Un’opera che si sente avrebbe voluto superare l’”inferno minore” ma non c’è riuscita ed è implosa come la sua autrice in un ultimo testo che cita se stesso, un testo tutto circolare e che bene mi dà la possibilità di farvi un poco capire cosa fu l’epilogo di questa poetessa. Prima abbiamo parlato di due termini chiave: inizio e fine. Abbiamo parlato di inizio e fine dicendo che Napoli è l’inizio geografico e Lecce è la fine geografica. Ebbene l’ultima poesia di Claudia Ruggeri, un patchwork di tutto ciò che aveva già scritto perchè alla fine arriva a citare letteralmente se stessa, l’ultimo suo testo, si intitola Napoli. A dimostrazione che ormai non esistono più termini, non c’è più la dicotomia, non sussiste più la contrapposizione in quanto tutto è imploso, tutto è caduto. Di lì a poco cadrà anche Claudia Ruggeri, fisicamente, a Lecce.

(di Alessandro Canzian su Claudia Ruggeri)

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