Poesia Condivisa 2 N.30: WISLAWA SZYMBORSKA

Un feticcio di fertilità del paleolitico

La Grande Madre non ha faccia.
Che se ne fa la Grande Madre d’una faccia.
La faccia non sa appartenere fedelmente al corpo,
la faccia infastidisce il corpo, è non divina,
disturba la sua solenne unità.
Il volto della Grande Madre è il suo ventre sporgente
con l’ombelico cieco al centro.

La Grande Madre non ha piedi.
Che se ne fa la Grande Madre dei piedi.
Dove mai dovrebbe andare.
E perché do dovrebbe entrare nei dettagli del mondo.
Lei è già arrivata dove voleva arrivare,
e fa la guardia nei laboratori sotto la pelle tesa.

C’è un mondo? Va bene così.
Abbondante? Tanto meglio.
I bimbi hanno dove correre intorno,
qualcosa verso cui alzare la testa? Magnifico.
Ce n’è così tanto che esiste anche quando dormono,
fin troppo intero e reale?
E c’è sempre, anche dietro le spalle?
È molto, moltissimo da parte sua.

La Grande Madre ha appena due manine,
due sottili manine pigramente incrociate sui seni.
Perché dovrebbero benedire la vita,
fare doni a chi ha già avuto doni!
Il loro unico obbligo
è di durare quanto la terra e il cielo
per ogni evenienza
che non capiterà mai.
Giacere a zigzag sopra il contenuto.
Essere la burla dell’ornamento.

Da La gioia di scrivere –TUTTE LE POESIE (1945-2009), Adelphi Edizioni (Milano, 2009), a cura di Pietro Marchesani.

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Annamaria Ferramosca
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2 Comments

  • Grazie, Franco, per la tua analisi testuale altrettanto accurata, che stimola alla riflessione da molteplici punti di vista. Apprezzo in particolare l’aggancio alla percezione di deriva del nostro mondo, al tremore che questa poesia rivela, al suo indicare antiche vie di salvezza: rispetto sacrale della natura-madre, protezione dell’infanzia nel suo progetto, che è pure quello della vita tutta.

  • Della grande madre e del suo culto antico ci sono rimaste diverse testimonianze. Ma non è lo sguardo dell’osservatore disinteressato ad entrare in scena, piuttosto quello del poeta con la sua capacità di leggere l’anima delle cose, come se in queste fosse attiva una vita non soggetta a mutare. In questa luce il feticcio non è solo un oggetto datato ma qualcosa che parla all’ interno dell’ uomo moderno e dalle sue profondità svela la sua identità il suo rapporto col mondo. Basta scostare la tendina di ciò che non ha e di cui non ha alcun bisogno il feticcio, la faccia , i piedi per scoprire il suo vero volto, la natura di perenne fertilità, il suo essere donna all’interno del guscio del mondo, il loro mutuo convivere. Le facce infatti mutano aspetto e invecchiano, i piedi indicano che c’è un movimento, una meta da raggiungere. La grande madre invece è l’essere stesso, la natura che perennemente sforna le sue creature, la nostra più profonda e statica matrice, il ventre tondo da cui prendono sostanza i pensieri, gli amori, le azioni sotto la pelle tesa. E’ le cose, gli alberi, gli animali ma anche noi stessi in un continuo generare e perpetuarsi. Tutto questo per dire di ciò che c’è in noi e di come allo scenario del mondo corrisponda la fertilità della vita e della natura e che una semplice statuetta paleolitica testimonia. Persino le mani hanno poca importanza, ridotte come sono a meno di un ornamento. A differenza del volto e dei piedi, potrebbero servire per benedire la vita, in caso si minacciasse davvero l’estinzione sulla terra. Quale l’urgenza dunque di questa poesia? Si sente dietro questi versi una preoccupazione per il mondo. Il richiamo alla grandezza, al suo significato di valore è potente:

    C’è un mondo? Va bene così.
    Abbondante? Tanto meglio.
    I bimbi hanno dove correre intorno,
    qualcosa verso cui alzare la testa? Magnifico.
    Ce n’è così tanto che esiste anche quando dormono,
    fin troppo intero e reale?
    E c’è sempre, anche dietro le spalle?
    È molto, moltissimo da parte sua.

    Chi potrebbe minacciarlo? È l’opera dell’uomo in discussione, la sua capacità distruttiva nei confronti del suo valore e di quello altrettanto immutabile della vita? L’importanza di questa creatura è nel richiamo di manine a zig zag sul contenuto del feticcio, una burla di cui gli antichi erano pienamente coscienti, ritenendo lo scenario interamente occupato dal mondo e dalla vita, ma che i moderni hanno in gran parte dimenticato. Ciao e grazie come sempre per aver proposto una poesia così potente.

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