volti che, soli, vanno nella solitudine del deserto,
all’oriente vestito d’erba e fuoco.
la poesia è il suo atto d’amore verso un popolo, fino al sacrificio di sé:
prendimi e sparisci splendore d’oriente
perdimi hai cosce d’eco e lampo
prendimi del mio corpo copriti
favore il mio fuoco
astro la mia ferita è guida
m’infiammo…
L’arma più potente è dunque la parola di chi, dilaniato da tanto dolore, fuggiasco nella sua patria e fuori, spera che di essa rimanga una traccia.
Laddove regna la guerra, è difficile cogliere il senso delle parole. Un atroce destino incenerisce pure queste, ma non quelle di un poeta. Se la pace possibile è quella affidata alle armi, non è la pace di cui parla il poeta. La sua è quella stessa desiderata dal popolo e racchiusa in questi versi:
Pace alla terra lavata dal mare
al tuo amore, pace…
la tua nudità folgorante le sue piogge mi ha dato
E dunque ciò che spera è che alla fine amore e pace si incontrino.
Drammatica quanto incisiva la chiusa:
Oh cenere della parola
la mia storia ha un figlio nella tua notte?
L’immagine finale rimanda al mito della fenice che rinasce dalla cenere. L’interrogativo acuisce il mistero profondo di ciò che riserva il futuro in relazione alla drammaticità del presente. Un appello (secondo me) alle generazioni che verranno affinchè vedano nella sua stella un fulgido esempio di amore verso la patria e vivano finalmente in pace.
Ciao Franco