Arti Incompossibili N.9: I volumi setosi di Michela Torricelli: Raku nudo

Volumi in corso di espansione, pesci palla natanti nell’aere o turgide meduse risalite da fondali vulcanici, le forme ceramiche elaborate da Michela Torricelli, e prodotte con la tecnica denominata Raku nudo, aggettano corde tra regni separati, stringono legami tra organico e inorganico, costringono a rivedere ciò che troppo subitaneamente abbiamo dato per scontato, classificando ogni cosa in categorie precise. E, dunque, esisterebbero pesci che hanno la forma di otri e di sacche e otri che sembrano dirigibili e patelle. Scopriamo vivissime somiglianze tra cose diverse. Creiamo rapporti tra cose disparatissime, similitudini astruse, a volte considerandole più utili di quelle reali.

Ma nel ravvicinare gli oggetti delle specie le più distinte, “come l’ideale col più puro materiale” secondo quel che afferma Leopardi nello Zibaldone,  non vogliamo però tirare giù dagli alti scanni l’elenco delle immagini di confine tra i regni, quanto mostrare quale tipo di risultati può ottenere un’artista, pur da una pratica millenaria, come quella del Raku nudo, il quale è un processo di lavorazione che non prevede smaltatura. Gli oggetti ceramici, incisi e bruciati in fiamme ad altissima temperatura, formano sulla superficie, la quale ha un aspetto fulgido e farinoso sotto le dita, fantastici segni neri, di un nero prossimo alla grafite, in un accordo raffinatissimo, estremo, con la superficie bianco-porosa.

L’artista svizzera ne ricava persino ampie porzioni di nero che tatuano lo sbigottente corpo come in un elegantissimo kimono rigato. Eppure, sarà proprio la separazione da tutti gli oggetti conosciuti, il distaccarsi da essi, ciò che farà delle opere un oggetto dal valore conoscitivo autonomo. E questo oggetto ci chiederà costantemente di creare nuove relazioni con ciò che ci è consueto, poiché resiste a tutto ciò a cui lo si possa avvicinare. Non sarà solo la consapevolezza di conoscere i mille artifici con i quali è costruito, ma la diversità irriducibile che lo caratterizza posto al confronto con gli altri oggetti e persino a quelli della medesima serie. Oggetti poetici in quanto segno e non come segno di qualcos’altro. Non è qui in questione l’astrazione, ma il suo statuto di oggetto d’arte: dapprima inesistente è ora elemento fra gli altri con uno speciale statuto.

Una ricreazione effettuata a seguito di una totale immersione nella tecnica ha portato la Torricelli a conoscerla profondamente, facendole produrre i suoi esiti più alti. Le sue originali forme, se appaiono animate da un processo di crescita spontanea, tuttavia depongono  anche per una spontaneità del tutto apparente, trattandosi di un trampolino verso l’elaborazione della superficie. La tramatura delle crepe sembra essere un effetto casuale, tuttavia è procurato dalla ceramista che ha assorbito l’eleganza assoluta del Giappone, producendo un segno nero che si sviluppa a partire da un’idea, sia essa, di volta in volta, trama sovrapposta alla trama, ombra della trama sottoposta alla proiezione del segno, merletto di punti che si uniscono fino a creare l’apparenza di un disegno figurativo. Intersezioni di linee, macchie,  punti sono predeterminati dall’artista, con la lavorazione della superficie nelle due fasi della cottura,  e, pertanto, solo apparentemente viene lasciato al caso l’aspetto finale dell’opera.

Ciottoli giganti, uova rotte, tegole, marsupi rigidi, sono le forme sulle quasi seguiamo la potenza di un disegno che, a partire da un particolare naturalistico, si eleva a trama astratta. Non più ceramiche, non più contenitori, tali forme si ribellano alfine anche alla funzione prevista dall’uso ceramico. Queste opere si sollevano dal piano consueto della materia ceramica come ibridi che si accampino anche nel regno dell’arte.

Rosa Pierno
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