“La solitudine della Sapienza – dialogo con Qohélet”, di Sofia Demetrula Rosati

Qohelet

‘LA SOLITUDINE DELLA SAPIENZA’ – FINALISTA PREMIO DI POESIA LORENZO MONTANO XXVIII EDIZIONE (SEZIONE – UNA POESIA INEDITA)

L’arte della sapienza

di Marco Furia

La solitudine della Sapienza, di Sofia Demetrula Rosati, è un’articolata riflessione in versi concernente il tema dell’umano conoscere.

Introdotto da un esplicito “prologo”, il componimento si apre con una pronuncia emblematica:

tra le mani compassi
le geometrie euclidee non compiacciono
il cuore si esercita sul ritmo e non
procede ma persiste

subito seguita da un’altra non meno esplicativa

la saggezza ha la stessa consistenza del tempo
anticipa costantemente il suo ritardo

Che cosa dire?

Certamente l’umana esistenza è esposta all’incertezza e all’enigma, nondimeno migliorare è possibile: davvero rilevante, perciò, è l’umana attitudine a interrogarsi.

Quanto, poi, alla poesia (praticata dalla nostra autrice con non comune scrupolo), si tratta di un dire particolarmente propenso a ridimensionare i riduttivi schemi logici per evocare un quid nel cui ambito gli uomini sono immersi più di quanto potrebbe, a prima vista, sembrare.

Insomma, per Sofia Demetrula, scrivere versi è la risposta, perché per lei il gesto espressivo veramente originale è fecondo proprio per il suo ricondurre il segno idiomatico all’esordio dell’incontaminato impulso.

Senza dubbio

la fioca luce del sole non intende
dare senso a ciò che illumina

nondimeno il poterlo scrivere è vivida testimonianza riguardante il mondo e chi lo abita.

Non resta altro da fare che impegnarsi nell’opera d’arte alla quale tutti si possono dedicare, ossia quella, appunto, di abitare meglio il mondo?

Questo sembra lo scopo ultimo di ogni conoscenza e, in maniera implicita, l’invito rivolto, dopotutto, dalla nostra poetessa.


la solitudine della Sapienza

dialogo con Qohélet[1] di Sofia Demetrula Rosati

prologo

s’interroga il sapiente Qohélet, l’uomo più scomodo dell’antico testamento. colui che non mette in dubbio il suo Dio, non chiede nulla e nulla si aspetta. non è il Giobbe che ci sollecita ancora oggi insinuando il pensiero di un Dio che, a fronte di una totale devozione, non sa elargire in base a criteri di giustizia. no, il Dio di Qohélet sembra, egli stesso, solo di fronte alla Sapienza. sembra totalmente disorientato da essa. non sapere come dialogare con Lei. non esiste Sapienza tanto grande da non poter essere offuscata da un unico solo errore. e allora a che serve inseguirla, desiderarla, possederla. se poi, Lei, non si fa possedere.

e allo stesso modo s’interroga il Poeta. l’essere per il quale il dubbio è l’unica certezza. s’interroga su quella stessa Sapienza che tra le sue mani si fa strumento consapevole d’inafferrabilità.

dialoga il Poeta con Qohélet e si fa sincronia di voci. lacerando con quesiti che conducono all’impossibilità di risposta. e se anche la Sapienza fosse, in ultima istanza, asapiente? se la Sofia non fosse altro che un’egocentrica manifestazione di sé? se l’atto stesso del conoscere fosse un passaggio diretto perché la terra torni ad essere polvere. e tutto solo fumo di fumi? e se solo la parola scritta riuscisse a farci aggrappare a qualcosa che somigli a delle sagome in carboncino? se la parola scritta fosse l’unica Sapienza? non per il contenuto, ma per il tratteggiare. se fosse proprio questo movimento, il movimento dello scrivente a dare ordine a ciò che non ha mai chiesto di essere compreso? e se la poesia fosse l’ordine ultimo al quale poter accedere? l’unico senso. la conoscenza di ciò che non può avere senso?

 

dialogo

1

Qohélet
Un cuore saggio procede diritto
Un cuore storto divaga
Io
tra le  mie   mani     compassi
le geometrie euclidee    non compiacciono
il cuore si esercita sul ritmo e    non
procede    ma persiste
la saggezza  ha  la stessa consistenza del tempo
anticipa costantemente il suo ritardo
storto è all’opposto      per diritto

2

Qohélet
E il sole che si leva
È un sole tramontato
Ogni sarà già fu
E il si farà fu fatto
Non si dà sotto il sole
La novità
Io
ogni ripetizione sorprende     l’istante nuovo    che
la precede e quello che     la insegue      per ispirazione
la novità è in       tempo relativo
non vedo nulla che   non sia      già stato
l’eternità inaridisce i   terreni   e    li rende incolti

3

Qohélet
Che cosa è che fu
Se quel che fu è
E se Dio fa che torni
Il fuggito?
Io
se il fuggito torna
determina un percorso
l’inizio e la fine si     avvicendano nella    costruzione
dello spazio e del     tempo      il fuggito
percorrendo      coniuga il    verbo   che si fa carne
quel  che fu  fu
quel  che è   è

4

Qohélet
E l’altezza mette paura
Ti agguantano spaventi per la via
E il mandorlo biancheggia
La cavalletta s’intorpidisce
Il cappero pende inerte
E l’uomo se ne va
Alla sua casa indefinita
Tra i piagnistei rituali
     Delle donne nel Suk
Io
spaventare l’altezza   per il
trionfo del    nulla
anche se    sono a    terra
calpesto sudari    sgualciti
la stagione è   incerta
tra un     finire d’inverno
e un’estate che     avvizzisce
l’uomo se ne    va
di lui    solo un tratto in carboncino
le donne fanno festa nel Suk

5

Qohélet
Per qualche mosca
Si guasta un vaso d’unguento
Di profumiere 

Poca stoltezza offusca
La gloria di un sapiente
Io
In un campo di stolti
poca sapienza    dà    gloria    eterna
il giudizio    condensa     l’odore del giudicato
in piccole    ampolle      vendute a   poco prezzo
al mercato delle spezie

6

Qohélet
Sapienza è meglio che ordigni da guerra
Ma quanto bene si perde
Per un unico errore
Io
         Che fece il gran rifiuto!
ebbe a dire il poeta schivato

7

Qohélet
E vedo tutto il lavoro di Dio
ma a tutto quel che accade sotto il sole
un senso l’uomo non riesce a dare
gli uomini si affannano a cercare
senza poter trovare
e il sapiente che dice io so
resta senza trovare
Io
la fioca    luce del sole non    intende
dare senso a    ciò che    illumina
gli uomini   cercano con le   spalle    curve
e la testa   china tra   la    polvere
con poca  saggezza    qualcuno
raccoglie ciottoli lungo il     cammino e
con   passo pesante il     viandante
spaventa le    lucertole     stese al sole

8

Qohélet
Due coricati insieme
si scalderanno 

Ma a chi è solo
quale calore?
Io
la solitudine   non consuma le ossa    solo calore
un falò di libri     ho dovuto     organizzare
per la lunga     attesa del gelo
ho sperimentato      giacigli di parole
coricàti    sul letto     le nostre scapole    non
hanno     bocche per     dialogare
voltàti   ognuno dal     proprio lato
con  una     pietra focaia in    mano
senza sapere     cosa farne


[1] La traduzione del testo di Qohélet qui utilizzata è tratta da: Guido Ceronetti “Qohélet. Colui che prende la parola”, Adelphi edizioni, Milano, 2001.

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