Proposte di lettura: “Lettere dal mondo offeso”, Christian Tito – Luigi Di Ruscio

Un libro di lettere, o un romanzo epistolare, o come dice il prefatore Sebastiano Aglieco, romanzo  di formazione epistolare. Si, in effetti, il genere è quello. Ma la cosa che più mi piace di questo libro è che nasce senza neanche l’intenzione di essere tale. Sono delle lettere , delle mail, che vengono spedite nella velocità nel mezzo della vita tra la Norvegia e l’Italia, tra il mondo della prima maturità di Christian Tito e il mondo ‘anziano’, il mondo del momento finale, dell’ultimo anno e mezzo di vita di Luigi di Ruscio. Questo scambio epistolare avviene nella velocità dei nostri tempi ma nella lentezza di una vera relazione. Cos’è che costituisce questa relazione? Come ha avuto modo di dire  Christian Tito: ‘una certa verità dell’esistenza’. Sono un giovane e un anziano all’inizio e alla fine di un percorso: due persone diverse, molto diverse per percorsi di studio, per sorte, anche, della vita. Ma con alcuni punti in comune: la poesia e la fabbrica. La fabbrica perché il padre di Christian, come ingegnere, ha lavorato all’Ilva, la grande fabbrica di Taranto, presso quella fabbrica che è stata anche la causa della sua malattia. C’è un tema che tocca nel profondo e che avvicina quest’orizzonte del paterno, la maestria ,la fabbrica, la sparizione e la trasmissione. Perché è questa poi la vera questione: cosa può essere trasmesso, come si può trasmettere, cosa viene trasmesso. Ciò che Christian Tito innanzitutto impara da Luigi Di Ruscio è che la poesia è legata ad una verità dell’esistenza. Nasce al di fuori di qualsiasi cerimoniale, perfino di un apprendistato ordinario perché luigi Di Ruscio ha studiato fino alla quinta elementare. Era un operaio emigrato nel 1957 in Norvegia che poteva avere del tempo libero solo grazie ai risultati delle lotte operaie norvegesi degli anni 50. Grazie a quelle lotte ha avuto il tempo per leggere e per leggere in modo onnivoro ma soprattutto personale. Luigi Di Ruscio ha uno sguardo sulla realtà assolutamente unico per tante ragioni. Una di queste è che non è stato ‘predisposto’ alla produzione culturale. La produzione culturale per lui è stata una manifestazione del proprio essere, non un’occupazione, non una ‘previsione’ del sistema: lui è piuttosto un’anomalia del sistema, la sua scrittura lo è. Dunque cosa è stato trasmesso? Cosa sembra che da queste lettere passi? Credo sia proprio l’idea che un espressione vitale, una manifestazione vitale sia fondamentalmente una sovversione. E  che questa sovversione avvenga senza una retorica soverchia, avvenga nella crudezza degli oggetti della vita, nelle difficoltà anche  elementari della sopravvivenza di questa stessa vita che però è infinitamente amata. Ciò che viene trasmesso è che la poesia non è un artifizio retorico, la poesia è un effetto collaterale della gioia di vivere, per dirla alla Matisse… Di Ruscio è uno scrittore bruniano, come giustamente veniva detto da Emanuele Zinato a Bologna, in un incontro all’università dedicato al poeta-operaio. E’ uno scrittore bruniano perché il suo è un ‘eroico furore’ che è comunicazione globale, ‘religiosa’, pagana. Ma l’autorità di quest’azione viene dalla sua vita. Se la vita di Di Ruscio non fosse stata quella che è stata, la vita dolorosa di un operaio che deve reggere una famiglia e se stesso, lontanissimo da casa e senza possedere non dico l’inglese ma neanche l’italiano standard come lingua veicolare, una vita così diventa il principio di autorità … Penso a Bataille che afferma: l’autorità è l’esperienza . Dal punto di vista estetico la bellezza delle sue opere dipende dalla sua capacità infinita, dalla sua energia infinita di creare immagini, di accostare,montare,smontare immagini, di produrre l’efficacia così: con questo ritmo percussivo, martellante che lo caratterizza. Di Ruscio è un grande poeta…

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Biagio Cepollaro
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