Beppe Salvia: “I begli occhi del ladro”

di Alberto Toni

beppe salviaL’antologia di poesie e prose di Beppe Salvia, a cura di Pasquale Di Palmo, colma un vuoto editoriale. I libri di questo autore, nato a Potenza nel 1954 e morto prematuramente a Roma nel 1985, sono ormai introvabili. Il nome di Salvia è legato a quello di una rivista romana, Braci, da lui fondata insieme con altri scrittori. Parlare della poesia di Salvia significa quindi nel contempo attraversare un determinato periodo, la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, caratterizzato dal percorso comune di vari autori. Sono le riviste, “nella temperie romana” di quegli anni, ad animare il dibattito intorno alla poesia: la già citata Braci e poi Prato Pagano, diretta da Gabriella Sica e Nuovi Argomenti. Salvia pubblica le sue prime poesie su queste riviste, partecipa a letture pubbliche. I suoi libri escono postumi, Estate, Cuore (cieli celesti), Elemosine eleusine.

La poesia di Salvia (ma anche degli autori a lui vicini) parte dal recupero di un tono nobile, classico nella sostanza e nella struttura, ma soprattutto nell’atteggiamento: Orazio, tra gli antichi; Saba, Penna, Betocchi, tra i contemporanei. La lezione del sonetto, per esempio, o dell’elegia, consente a Salvia di esprimere pienamente una delle sue caratteristiche fondamentali: coniugare il mestiere, la forma, con una vivacissima spinta vitale. In lui però tale tensione non sfocia mai in un pedissequo arroccarsi in virtuosismi, ma fa da veicolo a una tensione sempre presente.

Niente di teorizzato in modo accademico, piuttosto una vocazione naturale: “Io penso, e posso, ordinatamente, contraffare tutto ciò che mi circonda. Io ricordo, e d’ogni memoria niente mi è possibile mutare”. Tra la chiarezza epigrammatica di Penna e l’aulicità di una lingua a tratti chiusa, oscura, ma sempre vera perché testimonianza di esistenza, le poesie e le prose di Salvia, al di là della differenza di genere, costruiscono passo dopo passo un vero e proprio libro autobiografico: “E vaneggiavo di nascoste verità / e cieli quieti di pensieri chiari / ove più mio l’animo affranto potesse / dimorare”. In Elemosine eleusine 1982, Salvia definisce “malinconico e a volte infero. Di invettive e candore” il suo progetto di libro Inverno dello scrivere nemico. Per Beppe Salvia la scrittura è temperamento, sfida di forme attraverso i sensi, arte totalmente dentro il mondo dell’esperienza: “chiara / è la vita e tutta viva a questo mio / mare di mezzo in me vero e dolente”.

Nelle sue pagine ritroviamo i colori e il ritmo delle stagioni. Scrive Di Palmo nell’introduzione: “Il tema delle stagioni percorrerà come un’ossessione tutta l’opera del poeta di Cuore”. Al centro di tutto sta la solitudine, la disperata forza dell’individuo, che pure sta a contatto con gli altri: “A scrivere ho imparato dagli amici / ma senza di loro. Tu m’hai insegnato / a amare, ma senza di te. La vita / con il suo dolore m’insegna a vivere, / ma quasi senza vita”. Si verifica, in una tale condizione, una specie di gioco del meno, un ritrarsi dagli eventi, “al limitare di neve e foresta”.

(su “Letture”, gennaio 2007)

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