Lo stile è giudizio, lo stile è pensiero 10 – Arte conciliata e non conciliata

Ancora alla fine del Novecento, la questione posta da Adorno relativamente all’arte “conciliata” o “non conciliata”, “pacificata” o “non-pacificata” con il mondo passava attraverso scelte di stile. Una parte consistente della Modernità sembrava interessata a stabilire delle relazioni “critiche” con il mondo e lo esprimeva cercando di impedire la facile leggibilità, come si diceva allora, “la trasparenza” … Piuttosto si preferiva “l’opacità”, rendere difficile la comprensione dei testi.

Questo perché occorreva interrompere il flusso menzognero e ideologico della comunicazione sociale, si trattava di andare nella direzione opposta a ciò che il pubblico attendeva, si aspettava da un’opera d’arte. Era la famosa posizione di Baudalaire sull’impressionare, lo scandalizzare il borghese … Ma quando tutto questo è diventato quasi accademico, privo di stimolo reale, una maniera, anche questa illeggibilità è venuta a noia, ha perso il suo significato originario e critico. Questo è accaduto contemporaneamente all’affermarsi del clima e della cultura postmoderna alla fine del Novecento.

Vi era allora un bisogno di ritornare, come si diceva, alla leggibilità. In fondo vi era anche il desiderio di creare un mercato per questo tipo di opere letterarie. Le motivazioni erano da un lato disinteressate e dall’altro lato invece interessate … Ma le une e le altre non hanno avuto grandi effetti: se oggi noi consideriamo la produzione poetica, per lo più la mancanza di criticità nei confronti del mondo non si associa alla trasparenza ma indifferentemente a dei testi opachi, oppure meno opachi, o addirittura “evidenti”. Questo vuol dire che la difficoltà creata attraverso il gioco verbale non ha più il pathos del non conciliato e del non-pacificato, quindi della protesta …
E a questo punto non si capisce cos’è: se fosse una ricerca in qualche modo significativa, sortirebbe dei significati, alla fine. Noi potremmo fare dei bilanci, stabilire delle relazioni tra questi testi e il mondo.

Invece per lo più la produzione quantitativamente notevole di testi poetici non si associa ad una evidente ricchezza conquistata sul piano della conoscenza di questo mondo, non dico critica, ma anche semplicemente una lettura del mondo in cui noi siamo costantemente immersi.

Questo potrebbe risultare un limite per la produzione poetica: l’aver dimenticato quest’opposizione adorniana tra il conciliato e il non conciliato, tra il pacificato e il non pacificato. Si tratta della responsabilità che ha lo stile nell’esprimere questa pacificazione con il mondo, oppure la rivolta e il rifiuto.

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1 Comment

  • Molto interessanti queste considerazioni. Io credo che la poesia debba fluire dalla penna dell’autore senza una specifica intenzione di chiarezza o di opacità nel formulare uno stile che rappresenti la sua visione del mondo. Trovo infatti gradevolissimo soprattutto testi che siano compositi, a tratti oscuri e a tratti trasparenti, anche perché una affabulazione può essere logica ma non può non intrecciarsi- in poesia -naturalmente ad intuizioni alogiche che scaturiscano da associazioni ed analogie di carattere linguistico. Ho sempre pensato infatti al linguaggio poetico come ad una manifestazione delle falde psicologiche più profonde sedimentate nello scrivente.

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