Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?
Quello della poesia non sarebbe neanche male, quello dei poeti pessimo. In poesia si perde il più grande privilegio al mondo che è sapere che stai facendo qualcosa dove non si guadagnerà mai nulla, invece spesso si sgomita come se la poesia fosse fonte di lucro. Poi c’è l’altro fatto: che i poeti non si leggono, si sorvegliano.
Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?
Le mie esperienze letterarie partono ormai da lontano, dalla fine degli anni 70, dalla Bologna dei movimenti e di Roversi. Però, fortunatamente, di certe cose non ho lasciato dietro molte tracce, sorrido. La seconda fase nacque con Aletti, nel 93. Avevo cose nei cassetti e ho fatto l’errore di molti: ho deciso di aprirli.
Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?
Penso che la mia collaborazione a Poesia 2.o con la rubrica che curo risponda in parte a queste domande. Sicuramente toglierei la parte di mercato da prostituzione e incentiverei comitati di lettura e redazioni autorevoli. Cosa si aspettano i poeti dagli editori: sinergie.
La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?
Come sai, faccio anche il libraio: è il mio modo di attenuare il senso di colpa per la partecipazione alla dissoluzione della comunità poetica. Il problema poesia è anche un problema del libro che nasce come prodotto di mercato e non come veicolo culturale. Internet necessita di immissione costante di contenuti, questo sacrifica la decantazione, l’assorbimento di cui la poesia necessita.
Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?
Siamo davanti a uno spartiacque del tessuto critico: da una parte una gerontocrazia, e dall’altra quella generazione critica che non ha ancora interiorizzato al meglio certi passaggi, anche storici, per potere meglio ricondurre e indicare percorsi.
Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?
Il canone spesso è una bandierina per chi ha studiato poco.
In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?
Il compito del poeta è sempre portare in giro le proprie parole, farlo con disponibilità e onestà intellettuale. Il valore della cultura in italia è sotto gli occhi di tutti.
Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?
La valorizzazione delle proprie risorse culturali.
Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?
Ho per formazione una concezione nomade della parola, la responsabilità del dire è e deve essere un richiamo forte, altrimenti, come diceva De Luca, si lascino in pace gli alberi.
Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?
La poesia è indiscutibilmente lavoro ma non necessariamente mestiere. Lo spirito santo non mi ha mai parlato ne suggerito una riga.
Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?
La poesia ha sempre qualcosa da chiedere, ma ha sopratutto qualcosa da indicare.
Cosa pensano della poesia le persone che ami?
Che viverci insieme non è facile.
Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?
La mia è sicuramente una condizione di privilegio: faccio un lavoro che mi permette di vivere accanto alla letteratura gran parte del mio tempo, e nell’altro frequento poeti. Ma in un modo o nell’altro per me è sempre stato così.
Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?
Alla poesia serve credere in se stessa e ai poeti scoprire sempre nuove voci, che ci sono: basta scavare un po’ tra lo sporco, ma ci sono.
Alessandro Assiri (twitter.com/aleassiri) è nato a Bologna nel 1962. Da molti anni vive tra il Trentino, Bologna e Verona, città dove gestisce laLibreria Bocù insieme alla sua compagna.
Si occupa di arte e promozione culturale e collabora a vario titolo a riviste e iniziative letterarie. Pubblica da anni opere in versi per le quali ha ottenuto significativi riconoscimenti.
Tra le ultime cose: Morgana e le nuvole, aletti editore; Il giardino dei pensieri recisi, aletti editore; Modulazione dell’empietà, lieto colle; Quaderni dell’impostura, lieto colle; Sui passi per non rimanere, con Chiara De Luca, Fara Editore; La stanza delle poche righe, Manni editore; Cronache della citta parallela, poemetto in versi insieme a Serse Cardellini, Thauma edizioni.
La poesia di Assiri cerca di stemperare la relazione tra soggetto e oggetto, diluendo il linguaggio in una modalità che lasci la parola prender forma, corpo e suono. Una poesia che indaga l’accadere e il suo spaesamento, cercando nell’incedere del presente di ridurre lo spazio tra il volto e il nome.