Gio Ferri e il silenzio della comunione: una nota di G. Lucchini Bononi su “Siopé”, “Nozze pagane” e “Albi” (pseudoromanzo)

 

In era illuminata e tecnologica, con tempi che ambiscono a ri-costituirsi nuovi da ‘tabula rasa’, sbaglia chi dice la poesia essere frutto di contraddizione, insensata forma maschile e femminile dai mille volti contrastanti, somma delle somme dell’inutile ripetuto, ovvero specchio parabolico della natura molteplice e schizofrenica dell’anima umana, sempre uguale e contorta in se stessa.

Rigorosa sapienza mostra come riportare al netto un solo profilo, delineare nel tratto una presenza nuova, estratta dal mitologico passato, ma subito riversata nella metafora contemporanea dalla rauca voce che ‘sdrucciola’, trattenendosi appena nel corpo del suo destino futuro, metamorfico, di scrittura-destino: si, in piazza d’Albi può riprodursi l’alba del ‘divenire’ nella bella, etica ‘creazione’ herbartiana, verità della Parola formata ex-novo e nutrita su terreno il cui humus era già sfruttato e esaurito in ciclo completo (Nascita-vita-morte).

Di generazione in generazione, ancora la meraviglia della riproduzione del ‘nuovo’, su valore antico:

… purché ella venga dal mare…
… donna di nobile stirpe
(“She is of royal blood….” echeggia la voce di T.S.Eliot).

Diletta Delo a Leto / in ginocchio proliflica(“Siopé“)
(In ginocchio, nel sacro rito).

Da sotto la neve e il gelo, da dentro le acque fluide, il fuoco del vulcano. Il mito della riproduzione nella metamorfosi si pone come oblio della forma nella sostanza carnale del passato. L’ ‘allure’ antica di un discorso moderno. Così si esprime Gio Ferri, e si perpetua sposato all’amore / delle cose create. La sua parola annuncia la leggenda della ricerca, si fa comunione propiziatrice del divino viaggio: biacca d’onda e salma crosta ruggine poppa lo scafo / ridonda l’ansioso salmo…  Religioso andare. Intimo partecipare. Interdipendenza con la natura del mondo circostante. Esperimento spirituale e avventura vocale del simbolo/metafora. Si parte:

si va in Tebe / nutrice di (Sè)mele freschi d’edere germogli serti…

Ascendenza culta della grammatica generativa. Si scoprono i templi che ci incoronano: siamo noi i piccoli dèi del nostro ‘luogo’. E il primo verso mi palesa matrice del tema:

… La nostra follia / è muta – percorre abbandonata i seni della / terra e riposa nel bosculo tepido della ideale / et ancor tattile mucosa sacra di gioie morbide…

Felicità arcadiche contemplate dal centro della crosta che ci riveste aderendo sensuale. E il Verbo, l’eucaristica nutrice la concupita Idea, viene ricevuto consacrato alla spiritualità del silenzio:

… La nostra vita /  è silente / gridano solunque luci felice/mente…

Le parole sdrucciole, abbondantemente fertlizzanti, sanguigne sulle fertili protubere dell’idea… stringono acuti e ritti i sensi della / tormentosa e totale comunione cosicché il / piacere si fa tremebonda sapienza: è uno scivolare verso, e un trattenersi nel, l’offerta senza sensi se-non quelli dell’Altro / da Sé et ancorché del Sé in Altro… quando rigenerandosi La disposizione interiore / si fa audace e protesa fuor dei vincoli stantii.

Nella poesia di Gio Ferri la parola nuova, creatura offerta alla comunione del mondo, una volta cresciuta, acquisisce dalla sua specifica struttura interiore lineamenti di parola antica:

Amore strenuo, stremato / tanto corpo all’uso… (“Nozze pagane“).

La predilezione lessicale denuncia la dipendenza dalla tradizione, come scelta:

Mi chiede, amabile arbore domestico, amalgama e lega / d’affetti mùrmuri, allo stormir di presenze / floreale tapizia di riposi… (“Quotidiane“).

Stilizzazione del linguaggio arcaico. Modulare del fu. Ancora la fila dei vocaboli sdruccioli sostiene il ritmo, che riproduce la nascita (nuova) in opposizione contraddittoria:

impannule dimentichi.. .

il nuovo ed antico (antico/nuovo) dettato (riproposto) del già detto. È paradosso: contraddizione della contraddizione (?).  La ‘Facies’ è questa:

Egli adusa lieve passo /  oltre la ferrea / Sbarra, egli fermo / forrma il piede.

Innocenza liberatoria della pulsione, energia dell spinta del tropo.

L’insistenza dell’allitterazione muove a reiterati piaceri che risalgono alla comunione presente dalla notte dei tempi (Toccalo piccioletta / s’arrende nei martìri / al vincolo demorde) per ripresentarsi in sempre e ancora nuovi ed uguali desideri, estasi, stigmate (… io mi pongo le labbra / ivi risucchio vitule / mentr’ella ansa e chiama).

Il canto è quello degli esordi della nostra letteratura. Nel procedere oppositorio, i sistemi collaudati spumeggiano, il passo sperimentale ricalca le intemperanze ritmiche, le concordanze eufoniche. L’elemento ‘dispari’, quello che era avanzato all’antica poiesi, si offre al conto dell’atto creativo di questa poesia di fine millennio, generata da un seme, che riprende il filo continuo del ‘poema interminabile’ cui allude Giuliano Gramigna e che Gio Ferri ama citare.

Chi conosci tu che conosca la trionfante ambiguità della poesia? Ci siamo innamorati dei “cento volti soavissimi” del suo piccolo dio, il suo Poeta, unico e plurale, totalizzante, esorcizzato nel n.4 (quattro) propizio agli incontri: un poeta ancora giovinetto, dal sorriso “straordinario” (… così nessuno, mai, mi aveva sorriso…), che appare d’un tratto nel ‘diario’ di Gio Ferri, “Albi“, un sole sfolgorante al sole del giorno 4 di Aprile, … ingenuo, naturale, vitale. Intelligentissimo: l’ermafrodito millenario (bello come un angelo), il quale, oltre il significato multiplo della Parola che comunica e la compenetrazione dei contrari che porta, oltre il concetto di ‘giusto’ e ‘sbagliato’, secondo legge noturale, inespressa e inesprimibile, mentre affascina con lo sguardo raggiante che tutti tramuta in oro, conserva in sé l’Immagine (ideale) e ne sigilla il segreto.

Scrive Gio Ferri nella sua prosa di stile lucido, vibrante, essenziale: Ero affascinato e impaurito. Io avevo sempre vissuto ‘storicamente’, derivandomi dalla storia. Lui era assolutamente astorico. Non era nato da alcuno. E dava l’impressione di non voler far nascere: alcuno. Ciò esprimeva la sua drastica posizione solo come realtà, inderivata e inconseguente. Indubbiamente, me ne convinsi, tutto ciò era sovrumano, ma in maniera non metafisica sovrumano in quanto fortemente, tutto umano. Una grande lezione. Da lui si puo apprendere la naturale disposizione a vivere e a conoscere e a donare… Emblema della Poesia: Il linguaggio conosciuto non serve a dire l’Idea senza conseguenze. Si ripropone il mistero della sempre risorgente fenice del ‘doppio’, dell’’Altro’, del ‘Due’, del Sé diverso da sé: Io avevo visto… il volto, il corpo, l’Idea del duplice, della specularità, della metamorfosi.

Ed è così che Gio Ferri propone “una poesia della comunione senza comunicazione. Perciò del silenzio”. In mistico accogliere il ‘dare’, si conclude il giorno. “Ora il primo problema non e scrivere o trascrivere, bensi essere”. Così noi, lettori di Gio Ferri, concordiamo con il suo atteggiamento filosofico e ci lasciamo attrarre dagli allettamenti di una poesia ‘totale’, interpretandola come antica e saggia, bensi nuova, che attraversa percorsi inquinati, poesia di ‘comunione’, di gioia del dare e del ricevere che si identifica con la Parola.

(Gio Ferri: “Siopé”, Anterem. Verona 1985; “Nozze pagane”, Antico Mercato Saraceno, Treviso 1988. “Albi”, romanzo, Anterem, Verona 1989. Da “Terra del fuoco” n.11-12, 1990)

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