Poesia sperimentale telematica: domande sui rapporti tra arte e tecnologia – intervista a Caterina Davinio

 

di Azzurra D’Agostino

Che rapporto c’è tra l’arte e la tecnologia? Può la tecnologia essere uno strumento utile senza diventare troppo centrale? E’ la tecnologia causa di uno snaturamento o di un arricchimento della parola (in questo caso, ma potremmo anche chiederci dell’immagine, della musica ecc.). Per capire un po’ meglio come stanno andando le cose in questo ambito, proponiamo una intervista a Caterina Davinio, artista, ideatrice e webmaster del sito “karenina.it”, autrice del volume “Tecno-Poesia e realtà virtuali”, pubblicato nel 2002 da Sometti. Per conoscere la poetica sottesa a questa forma d’arte legata a una fusione tra le varie arti (oltre che ovviamente a un connubio con le nuove tecnologie) invitiamo a visitare il sito, ricco anche di immagini che permettono una presa più diretta con le opere stesse.

Cosa si intende con tecno-poesia?

 Tecno-poesia indica un’area di sperimentazione tra testo poetico, anche inteso nella dimensione visiva, sonora e performativa, e nuovi media, come video, computer, Internet, e-mail, CD-ROM, o altro. L’interazione tra i vari elementi può assumere molte forme, dipendenti dalle scelte dell’artista, creando un insieme intersemiotico, in cui le tecnologie non fungono da mero supporto (per es. una lettura o performance documentata in video non è una video-poesia), ma concorrono con in propri segni e modalità a determinare strutture e aspetti formali.
Techno-poetry è il titolo di una rassegna che ho curato nel quadro delle manifestazioni estive della mostra “Le tribù dell’arte” (Tribù del video e della performance), nel 2001, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Si trattava di una rassegna di video, computer e net poesia, che presentava un panorama internazionale di artisti significativi nel campo sperimentale tra scrittura e nuovi media, un’area della quale mi sono occupata, come artista e curatrice, a partire dai primi anni 90. Le ricerche e l’attività curatoriale sono documentate nel saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali, pubblicato nel 2002 da Sometti per il Comune di Mantova, nella collana “Archivi della Poesia del Novecento”, diretta da Alberto Cappi ed Eugenio Miccini.
Per avere un’idea della tecno-poesia bisognerebbe vedere le opere o almeno leggere il libro.

– Come crede che siano cambiati i modi della letteratura, con le nuove tecnologie?

 Certo in direzione di una maggiore sinteticità ed efficacia comunicativa, per quanto riguarda Internet, ma anche il video. Nel mio saggio giungo a definire una “poesia in funzione fàtica”, riprendendo in un paradosso una definizione di Jakobson. Nel modello delle funzioni di Jakobson fàtico è l’uso della lingua che persegue lo scopo di tener aperto e funzionante il canale tra gli interlocutori. Nella poesia in funzione fàtica contenuti e forme passano in secondo piano rispetto al flusso di comunicazione/interazione nel network, con riferimento alla materia concreta della poesia/arte on line, fatta di bit, prima che di immagini, parole e versi. Un percorso che sposta l’attenzione dal testo alla dimensione sensoriale della scrittura, tipografica ed alfabetica, ai supporti e ai materiali elettronici, secondo un procedimento tipico della poesia concreta storica.

– Crede che la poesia e la letteratura in genere siano ormai inadeguate ad esprimere i vissuti e i fondamenti del mondo odierno?

No, non credo che siano inadeguate. La poesia e la letteratura, l’arte in genere, esprimono con forme e modalità sempre nuove il cambiare del mondo, della società, il modo diverso di rapportarsi con essi.
Tutto sta nell’intendersi su cosa concepiamo come “letteratura”: per me la poesia e la narrazione d’oggi nascono con i linguaggi e le tecnologie che abbiamo a disposizione, possono essere “qualcosa” che non ha nulla che fare con un libro o, perfino, con il linguaggio verbale.

– La lingua italiana, nell’ “era globale”, le pare ancora sufficiente e sufficientemente plasmabile, o ritiene che debba mischiarsi con altre lingue? In che senso?

 L’Italiano è certo una bellissima lingua plasmabile all’infinito e mescolabile con tutto ciò che vogliamo, purché riusciamo a capirci. Di volta in volta usiamo la lingua più adatta a farci comprendere dal nostro interlocutore. Operando in Internet, ho avvertito l’esigenza di usare altre lingue, soprattutto l’inglese, in cui ho cercato di tradurre miei testi poetici e critici, con l’aiuto di amici poeti d’oltreoceano. Ma ho cominciato a praticare anche lingue che conoscevo poco, come il francese, o per nulla, come lo spagnolo, il portoghese, che adesso leggo abbastanza bene. Per esempio, ricordo il giorno in cui decisi di coinciare a scrivere in francese a collaboratori che in Francia mal comprendevano l’inglese. Mi misi a scrivere e-mail in una lingua che non conoscevo, un francese inventato, disseminato di vocaboli italianizzati e inglesi, in cui riuscivo tuttavia a farmi comprendere in Francia. È così che nasce una lingua nuova, il nuovo volgare telematico di Internet. Ma i confini del mondo si allargano: di recente ho scoperto, per esempio, alcuni bellissimi suoni della lingua filippina, tanto che mi sono riproposta di usarli per costruire una poesia sonora. Tutto ciò che riguarda le lingue mi emoziona e mi affascina, non me la sento di teorizzare nulla, semplicemente vivo quello che accade.

Può fare un esempio di un artista che contamina la poesia con arte visuale, altre lingue, mezzi telematici?

 Un maestro, pioniere della poesia elettronica italiana già negli anni 80, è Gianni Toti, un nome italiano storico, conosciuto in tutto il mondo. Toti non usa mezzi telematici, ma fonde insieme poesia e cinema elettronico, e inserisce nel proprio linguaggio parole e neologismi che combinano lingue di ogni paese in un idioma senza frontiere, comprensibile senza bisogno di traduzioni. E riesce a farlo mantenendo nei suoi video-poemi un andamento epico, la capacità di operare una sintesi dei tempi nei quali viviamo, anche quando ciò sembrerebbe impossibile, tanto sono stemperati nell’effimero, nell’occasionale, tanto più contagiati da quest’effimero sono i mezzi elettronici e le opere con essi generate.
Come artisti tra visualità e scrittura, anche se non elettronici, amo i poeti visivi italiani Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, il francese Julien Blaine, lo spagnolo Bartolomé Ferrando; sono tutti artisti colti, che hanno saputo mettere in gioco il ruolo dell’autore con ironia, segnando un percorso tra visualità, poesia e performance. Ma potrei citarle decine di
altri nomi.
Per quanto riguarda il rapporto tra poesia, performance, visualità e Internet ho creato il genere a partire, nel 98, dal primo sito italiano di poesia sperimentale telematica: Karenina.it, recentemente premiato a Madrid. Nel saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali presento altri centotrenta artisti internazionali che hanno lavorato tra scrittura e nuovi media, come video, computer, Internet, nell’ambito di poetiche diversissime. Tra i miei progetti on line più noti, cui hanno partecipato centinaia di autori: Global Poetry, performance in contemporanea in molte città del mondo, dove sono state costruite installazioni con poesie e poesie visive digitali di 122 artisti internazionali, circolate nel network; l’evento è stato coordinato attraverso Internet e si è svolto dal 21 al 27 marzo 2002. Antecedenti, nel 2001, l’evento da me creato on line per il Bunker Poetico di Rotelli nella 49ma Biennale di Venezia, e altre net-performance meno legate alla poesia, come Prigioniera della realtà (Padova, 2001) o Paint from Nature (Copia dal Vero, Firenze e Ajaccio, 2002).
C’è poi GATES, del 2003, dedicato a Pierre Restany, che aveva aderito all’iniziativa cercando per essa un nodo a Parigi. GATES è basato su un’idea analoga a Global Poetry: performance collettiva decentrata in più luoghi del mondo, dove artisti hanno creato un’installazione reale a forma di porta per celebrarvi intorno un rituale performativo-poetico di festa e di comunicazione, di apertura, passaggio, transito. Un desiderio d’incontro planetario e di invito al dialogo che vanno oltre la mera tecnologia e la net.art come pura creazione di macchine interattive on line, generate da software sempre nuovi e subito obsoleti.

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1 Comment

  • Mi piace l’intervista e condivido le scelte. Anch’io ho fatto qualche esperimento di video-poesia negli anni Novanta. Credo che oggi sia l’unico modo per comunicare, anche se la cosiddetta Arte Totale non sempre è adeguata: spesso (lo dico per esperienza personale) è solo un “rimasticamento” (neoqualcosa, neodidìeedidà etc.) che invece di comunicare, diventa criptico. Anche in questo campo – come in tutti i campi dell’arte – ci sono sperimentazioni di alto livello e performance usa e getta, che niente hanno a che fare con l’arte stessa. Comunque, complimenti per le sue attività. Se le fa piacere, visiti il mio sito e la pagina Luogomondo su FB. Propongo una sorta di Movimento di pensiero artistico: il Manifesto è stato firmato da importanti poeti tra cui Adonis.

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