Maria Lenti su Narda Fattori

 

di Maria Lenti

Sentimenti e paesaggio, quelli in questo a sottolinearlo, o il paesaggio a definire e a far risaltare stati d’animo e un prima e un dopo di vicende pubbliche e affetti privati, riversati (o derivati) dalla quotidianità, da un vivere contornato di attese e fatti non corrispondenti a quelle, di un agire necessitato dalla esistenza stessa, di conti – caricati anche di ciò che si sa, a priori, impossibile – che non tornano

Esplicitato già nei titoli (in alcuni: L’una e i falò, E curo nel giardino la gramigna, Verso occidente), adombrato in altri – almeno come sottofondo culturale e poeticamente riconoscibile – (Se amor parla, Verso occidente, Il verso del moto), il paesaggio ( si volge con le stagioni e con il tempo conservando intatto, però un nocciolo duro di vita, di scarsa temperanza nel dono e nelle utopie) è quello del volgere delle stagioni, e del proprio tempo, ma anche accertato e accettato come soggettivo tessuto-terreno nutritivo. Dire romagnolo – pur essendo tale nei versi, pieni anche del calore della terra, vissuto, pensato, supposto, reale e metaforico:possono supporre antecedenti relativamente pascoliani – è riduttivo, poiché gli elementi si espandono in terrestrità. E la luna, le distese pianeggianti, le colline in lontananza, i colori, gli odori ed i sapori di tutto questo,  sono il  retroterra confermato nella risonanza anche culturale, di una  infanzia-adoloscenza  di slanci e possibilità, come il mare, l’ infinito di paure e spinte, da cui ci si ritrae e verso cui si tende.

Questo l’orizzonte di apertura di sé alla vita e l’immersione dentro le cose di essa. L’orizzonte, proseguendo i giorni, subisce colpi e contraccolpi: le perdite si accumulano, i residui si assottigliano, la memoria  interviene a colmare i vuoti.. E si libera il verso, la poesia, il pensiero-parola  : il verso largo (calato in settenari, ottonari, decasillabi, endecasillabi anche ipermetri) della contabilità non interrotta, se non raramente e nel caso solo per rallentare lo slancio, nel caso, poetico, dalla  interpunzione.

Come è sperimentato nella poesia classica del Novecento, il cerchio appare chiuso. In Narda Fattori esso, invece, rilascia aloni – con scie al femminile -,  giunture non saldate: sì che la catenella reinfila i suoi anelli nel gioco interminabile dell’inizio (certo), della fine (apparente, essendo l’illusione mai in mancamento  di illusione e suo rovescio. In definitiva dell’esistenza e, in questa, dei passi, dei fatti, dei giorni vissuti, formiche in mezzo ad elefanti,  con uno slancio disteso ad un meglio, mai negato, raramente raggiunto se non nella riflessologia di un hortus. Ché, nel contesto, viene spento almeno da due fattori imponderabili e non dipendenti dalla soggettiva entrata in scena: il dolore, la morte, di ascendenza sia metafisica, sia storica, il primo non medicabile, la seconda imputabile a generici e danarosi e potenti di armi e di soldi signori del mondo. Varrà a lenimento la vicinanza, una tutta possibile, benché insufficiente, solidarietà umana.

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