un tale, una tale – tra oralità e scritture n.10: In mancanza di meglio chiamatemi “poetrice”.

 

di Rosaria Lo Russo

foto di Domenico Stagno

Premesso che per quanto riguarda le definizioni e distinzioni fra oralità e scrittura (poetica e non), sul piano teorico, mi sembrano più che esaustivi gli studi di Zumthor e poi, con tutto il corredo bibliografico che li sostiene, quelli di Gabriele Frasca, ai quali aderisco come una ventosa, mi limiterò qui ad annotare la mia esperienza, sottolineata dal corsivo in quanto rimando all’uso specifico del termine in ambito mistico. La parola/voce come esperienza è il mio lavoro di poetrice.
Poetrice, non poetessa, non poeta, non attrice, non performer, o tutto quanto insieme ma secondo un’intenzione unitaria che rende impossibile, alla poetrice (altrimenti in-nominabile, quindi forse sarebbe meglio chiamarla Nessuno? Non Io?), l’identificazione piena in alcuno dei ruoli artistici che potrebbero, e di fatto possono, fungere da riferimento alla descrizione dell’esperienza.
Non poetessa: la qualifica è ineluttabilmente connotata ad una diminuzione. Storicamente una poetessa è sempre una dilettante che diletta, una geisha, un’imitatrice dei poeti (maschi). Si pensi alla tradizione italiana delle poetesse: un malnutrito gruppo di petrarchiste, la cui grandezza, nel caso di Gaspara Stampa almeno, dipende dal fatto di vestire il corsetto del sonetto come una corazza soffocante il proprio dire-fare-lettera-baciare.
Non poeta: pur essendo femminile in latino, in italiano è maschile, e io sono una femmina (fonica).
Non attrice: o meglio, anche attrice (lo fui fino a 18 anni, lo risarò a 48, cioè tra qualche mese, ma questa è un’altra storia). Perché agli attori dovrebbe essere vietato di dire la poesia. Poesia essendo già un corpo di parole, non ha bisogno del corpo di un interprete, ovvero non ha bisogno di essere interpretata dall’ego di un attore/attrice, ma dal non-io del corpo vocale del testo; ma ci ritorno su dopo aver concluso con le negazioni.
Non performer: semplicemente perché tale termine, essendo stato abusatissimo, non significa più nulla di specifico. Di questo ho scritto già q. b. nella rubrica “la vocazione poetica”, da me curata per il sito AbsoluteVille- Absolute Poetry, tuttora consultabile in rete anche se momentaneamente (spero) fermo. Comunque, includo nel non voler essere performer il non amore, durante i reading, per: improvvisazioni, ammiccamenti al pubblico, trovate bizzarre o mascheramenti lacrimosi o comici.
Passando alla pars construens sintetizzo il mio lavoro nell’esperire il poetricio.
Leggendo un testo ad alta voce escludo l’oralità ed opto per la vocalità. Escludo ciò che pertiene all’oralità: la memorizzazione. Scelgo di analizzare filologicamente il testo nell’atto del leggerlo ad alta voce.
C’è un articolo, in questa rubrica, che parla di intonazione. Esattamente di questo si tratta. Per me leggere ad alta voce un testo è un’esperienza preceduta da alcune tappe:

1. sillabare il testo, per cercare le catene paronomastiche, ovvero il suo impasto fonoritmico. Sillabare più e più volte ha la stessa funzione della manducatio della preghiera dei monaci medioevali: il depensamento beniano, il riportare il fenotesto (il significato) al genotesto (il significante) per giungere solo tramite la voce, escludendo il pensiero, al senso del testo (di queste cose hanno parlato – e poi le ha ribiascicate quel geniaccio di Carmelo – tutti i retori orientali e occidentali dall’antichità in poi e infine la semiotica di Kristeva e Barthes, etc etc.

2. una volta restituito al testo il suo corpo vocale (fonoritmico) far sì che la mia voce lo trasporti agli ascoltatori.

E qui già la lettorice ad alta voce potrebbe fermarsi. Qui già sarebbe compiuto il suo fare poesia (e il procedimento vale sia che la poetrice tramiti una poesia propria che poesia altrui).

3. Osare un’intonazione. Perché le intonazioni di un testo poetico sono potenzialmente infinite come le sue interpretazioni critico-filologiche. Ma è possibile tentare di risalire, o ridiscendere, talmente in profondità o alle scaturigini preconscie-preverbali di un testo se l’empatia col testo commuove a tal punto la poetrice da azzeccare proprio quell’intonazione lì, quella matrice puramente sonora, quella nota, che predomina nel testo: perché ogni testo, che sia poetico o narrativo, nasce e vive di una o più intonazioni variabili all’infinito.

Intonare bene è difficile. Richiede molta pratica e molta esperienza (qui il termine lo uso nel senso corrente). Richiede soprattutto un transfert totale della voce propria nella voce/i implicita/e nel testo.

Recitare è un’altra cosa. E’ la cosa opposta. Anche se all’apparenza quel che sto per dire suonerà come assolutamente sbagliato, credetemi, avendo una doppia esperienza, di poetante e di attrice, garantisco che funziona così. Entrambe, la poetante e l’attrice, vanno in scena, ovvero si presentano di fronte ad un pubblico, ma: la lettrice ad alta voce non esibisce  un corpo; è un corpo nascosto, la cui funzione è gestire metricamente il respiro, che tramita la voce del testo attraverso la sua, optando o meno per l’intonazione (se mi capita di leggere un testo con cui empatizzo intono, se no, no, mi limito alle operazioni 1) e 2), ovvero alla restituzione del fonoritmo).
L’attrice-che-non-sono esibisce un corpo, il suo, prestandolo al testo. La voce in scena in questo caso non è la voce del testo ma la voce dell’attrice che lo interpreta, farcendo l’intonazione del testo – qualora la colga (ma non mi è mai capitato di sentirne una accettabile) delle sue intenzioni, dei suoi presupposti emotivi e teorici, delle regole e dei vezzi di dizione dei suoi training.

La voce attraversata dal testo del lettore di poesia è la sua naturale, anche se il respiro deve essere impostato: può mantenere, senza creare interferenze artistiche improprie, i suoi difetti di pronuncia o di dizione o entrambi. Penso ai poeti che leggono i loro testi: non è importante che abbiano la dizione corretta, ma raramente il loro respiro non sarà impostato: a parte i casi gravi di ansia, che possono autocastrare un poeta che legge i suoi testi, il respiro del poeta, essendo già nel fonoritmo del testo, di solito è naturale: penso, uno per tutti, allo straordinario lettore delle sue poesie che fu Ungaretti.
Chi recita invece imposta il respiro, la voce, l’intonazione. Sceglie, non si lascia attraversare dal testo, la sua persona (maschera) attraversa il testo. Se l’attore è bravo il risultato è meraviglioso: ma è, appunto, un risultato, il risultato di un preconfezionamento, l’interpretazione sostenuta dalla memorizzazione. Il lettore ad alta voce non sa nulla a memoria, non sa nulla di nulla perché non è nessuno: e così il testo accade vocalmente, indipendentemente dalla volontà del lettore, ad ogni lettura variando, più o meno percettibilmente, il suo percorso filologico nelle sillabe sonore e ritmiche.
Per la poesia la recitazione, anche la più studiata, è impropria, risulta sempre, se non disgustosamente emotivizzata, quanto meno eccessivamente ridondante.
Un testo poetico ridonda già da sé (la poesia è strutturata retoricamente o non è). Il lettore è la sua cassa di risonanza vocale.
Ogni testo è orale (v. Frasca, informazione-ominazione); la poesia è anche specificamente vocale, intendendo il termine come sinonimo di musicale. Poesia è musica sono esattamente la stessa cosa, anche se ci sono infiniti gradi di vocalità in poesia: dal silenzio (che fa parte della musica, e quindi è udibile- dicibile) alla più piena orchestrazione polifonica.
Poetrice: poeta-poetante e attrice. Un non-corpo in scena o un corpo in scena. A seconda dello stile dell’esibizione: lettura ad alta voce o teatro.
Sto lavorando ad un testo in cui sarò attrice. Non poetrice, proprio attrice. Ma dati i suddetti presupposti, la voce del testo sarà registrata (volatile nell’iperuranio della mistica), il corpo in scena sarà muto o semi-muto. Supererò mai la dissociazione delle esperienze? E’ una vita artistica che me lo chiedo (e che lo scrivo nei miei libri di poesia).


foto di Laura Albano

Rosaria Lo Russo (Firenze, 1964) Poeta, traduttrice, saggista, lettrice-performer, voce recitante e insegnante di letteratura e lettura di poesia da alta voce, si occupa di letteratura, poesia e teatro e dei rapporti fra poesia e performance teatrali, di drammaturgia, letteratura teatrale e letteratura comparata moderne e contemporanee.
Come storica dello spettacolo e della letteratura italiana, come critica letteraria e teorica della lettura ad alta voce di poesia,  ha pubblicato i seguenti saggiIl corpo malato, in “Semicerchio. Rivista di poesia comparata”, VII, 2, 1991; Acque paterne. Sylvia Plath Full Fathom Five, in “L’Area di Broca. Semestrale di letteratura e conoscenza”, XXII, 60, luglio-dicembre 1994; Del noviziato artistico pirandelliano in “Ariel. Quadrimestrale di drammaturgia dell’istituto di studi pirandelliani e sul teatro italiano contemporaneo”, IX, 3, settembre-dicembre 1994; Figlia di solo padre, in “Semicerchio. Rivista di poesia comparata”, XI, 1/2, 1994; Donn’Anna Luna e il Figlio Cambiato. Mitopoiesi, scrittura e drammaturgia ne La vita che ti diedi, in “Il Castello di Elsinore. Quadrimestrale di teatro”, VII, 19, 1994; Anne Sexton. L’estrosa abbondanza, in “Poesia”, VIII, 90, dicembre 1995; Il peccato della lingua, in “Plurale. Rivista di scrittura e altri versamenti”, Società Dante Alighieri, VI, 11, gennaio-giugno; La tragedia della riflessione, in “Studi italiani. Semestrale di letteratura italiana diretto da Riccardo Bruscagli, Giuseppe Nicoletti, Gino Tellini”, IX, 2, luglio-dicembre 1997; Sexton/Dante. Queste voci vo comparando. Appunti per una poetica della traduzione orale, in “Semicerchio. Rivista di poesia comparata”, XVIII, 1998, 1, pp. 26-35; Poesia lirica oggettiva, in “L’immaginazione”, n. 145, marzo 1998; La Primadonna e la Dea, in “Il castello di Elsinore. Quadrimestrale di teatro”, XI, 33, 1998 (Atti del Convegno internazionale “La scrittura e l’assenza. Le lettere di Pirandello a Marta Abba”, Università degli Studi di Torino, 6/7 maggio 1997); Due poetrici allo specchietto retrovisore, in “Testuale. Critica della poesia contemporanea”, XVII, 28-29, 2000; La donna e il lavoro, a c. di Rosaria Lo Russo, INAIL-ANMIL, 2002; La lettura in versi, in Cd Rom Saper scrivere. I segreti della scrittura alla portata di tutti, allegato a “L’Espresso”, 13, XLIX, 27 marzo 2003; Fra senso e sensi. Suggerimenti teorico pratici per la lettura ad alta voce eAppendice. Per un assaggio di poetica dell’autrice in AA.VV., Leggere e scrivere in tutti i sensi, a c. di Sandra Landi, Firenze, Morgana Edizioni 2003, pp. 69-83 (cfr. anche p. 11 e p. 28); Un corale per voce sola. Appunti di lettura su un raro di Luzi, in “Semicerchio. Rivista di poesia comparata. Il verso recitato. Teatro di poesia nel Novecento europeo”, XXIX, 2, 2003, pp. 18-25; Rosaria Lo Russo e il XX canto dell’Inferno, in AA.VV., La bella scola. L’Inferno letto dai poeti. Canti XVIII-XXX, a cura di Marco Munaro, Rovigo, 2004, pp. 27-40; Tradurre poesia: si può tradurre l’anima? Intervista con Rosaria Lo Russo, in “Tratti. Fogli di letteratura e grafica da una provincia dell’Impero”, n. 67, autunno 2004; AA.VV., Il Gruppo ’63 quarant’anni dopo, Bologna, Pendragon, 2005 (con Cd audio); Comèdia & Comedìa (anònimo florentino), in AA.VV., Dante en América Latina,. Actas primer congreso internacional sobre Dante Alighieri en Latinoamérica. Salta 4-8 de Octubre de 2004., al cuidado de Nicola Bottiglieri e Teresa Colque, 2 voll., Edizioni dell’Università degli Studi di Cassino, 2007, pp. 1023-1044; Comèdia & Comedìa (anonimo fiorentino), in AA. VV., La scoperta della poesia, a cura di Massimo Rizzante e Carla Gubert, Pesaro, Metauro, 2008, pp. 61-92; Il canto della “Libellula”, in AA.VV., “Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo”. Per Amelia Rosselli, Atti del Convegno Università della Calabria 13 dicembre 2006,  a cura di Caterina Verbaro,  Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008; Tavola Rotonda in AA.VV., Poesia e canzone nell’Italia contemporanea. Il suono e l’inchiostro. Cantautori, saggisti, poeti a confronto, a cura del centro Studi Fabrizio De André, Milano, Chiarelettere,  2009; L’attante di Vicinelli-Rosselli è un cavaliere antico, in La repubblica dei poeti. Gli anni del mulino di Bazzano, a cura di Daniela Rossi e Enzo Minarelli, Udine, campanotto, 2010I mestieri del poeta, in “in pensiero”, 04, luglio-dicembre 2010.
Ha pubblicato i volumi di poesia: L’estro (Firenze, Cesati, 1987); Vrusciamundo (Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, 1994); Sanfredianina, in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano (Milano, Crocetti, 1996); Comedia (Milano, Bompiani, 1998); Dimenticamiti Musa a me stessa (con sedici disegni di Renato Ranaldi, Prato, Edizioni Canopo, 1999); Melologhi (Modena, Emilio Mazzoli, I Premio Antonio Delfini 2001); Penelope (Napoli, Edizioni d’if, 2003); Lo Dittatore Amore. Melologhi,  volume di poesia con cd audio (Milano, Effigie, 2004); Io e Anne. Confessional poems, volume di poesia con cd audio (Napoli, Edizioni d’if, 2010); Nel nosocomio,  con cd audio di Massimo Zamboni o con cd audio di Marco Rovelli(Massa, Transeuropa, 2011).
Sue traduzioni e saggi critici sulla traduzione di poesia sono apparsi su “Semicerchio. Rivista di poesia comparata”, di cui è stata per dieci anni redattrice. Ha curato tre volumi di traduzioni di poesie di Anne Sexton, Poesie d’amore(Firenze, Le Lettere, 1996) e L’estrosa abbondanza (Milano, Crocetti, 1997, insieme ad Antonello Satta Centanin e Edoardo Zuccato). Sempre per Le Lettere di Firenze è uscita nel 2003 l’antologia sextoniana Poesie su Dio e nel 2010 Senza rimedio, per la cura di Rosaria Lo Russo e Lucia Valori, traduzione dl volume di poesie Irremediablemente della poetessa argentina Alfonsina Storni. Ha curato la traduzione delle poesie di Erica Jong, Miele e sangue (Milano, Bompiani, 2001, con cd audio di letture in inglese di Erica Jong e in italiano di Rosaria Lo Russo).
E’ lettrice-performer di poesia e voce recitante da quasi trent’anni. Ha partecipato a festival, rassegne e convegni di poesia nazionali ed internazionali (Argentina, Stati Uniti, Giappone, Irlanda, Francia, Germania, Cina, Lussemburgo, Australia).
Per la poesia contemporanea ha interpretato, oltre alla poesia di Anne Sexton e Sylvia Plath, e quasi sempre alla presenza degli autori, le poesie di Piero Bigongiari, Mario Luzi, Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, Amelia Rosselli, Giovanni Giudici, Iosif Brodskij, Friederike Mayröcker, Erica Jong, Wislawa Szymborska. Nel 2006 ha realizzato un documentario sulla vita e l’opera di Amelia Rosselli, come autrice del testo-guida e interprete della poesia rosselliana e la performance per voce recitante e pianoforte (Andrea Allulli) La libellula. Panegirico della libertà (adesso in La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli, Firenze, le Lettere, 2007). Come lettrice si occupa anche di poesia medioevale, occidentale e mediorientale: è del 2002 lo spettacolo Femina perfida dulcis amica, con il mezzosoprano Gianna Grazzini, il gruppo strumentale Modo Antiquo e il duo Giuia  (Kamran Khacheh, Jamshid Mirhadi). Nello steso ambito poetico-performativo ha collaborato col violinista maghrebino Jamal Ouassini per lo spettacolo Una notte alla corte arabo-andalusa. Ha realizzato, e più volte replicato, Voci in Comedia. Lectura Dantis. Ha collaborato con varii musicisti e compositori, fra cui Luigi Cinque e Patrizia Montanaro, che nel 2004 ha musicatoPenelope. Tragicommedia lirica in un atto, interpretato dall’autrice come voce recitante ed eseguito dalla soprano Catharina Kroeger insieme alla pianista Monica Lonero e all’arpista Paola Perrucci.
Ha curato il progetto poetico-musicale Forme uniche della continuità nello spazio, realizzato dall’Istituto Italiano di Cultura di Melbourne (Australia), in collaborazione con il Maestro Carlo Forlivesi, occupandosi della scelta antologica dei testi poetici e della mise en espace poetico-musicale come performer.
Come esperta di letteratura italiana medioevale e contemporanea, letteratura comparata, poesia femminile contemporanea e discipline del teatro e dello spettacolo ha tenuto lezioni presso alcune università italiane e all’estero: Yale University, New York University, Monash University, Melbourne University, Università di Pecs (Ungheria), Università di Salta (Argentina).
Da vari anni si occupa specificamente di teoria e pratica della lettura poetica ad alta voce, intesa come trasposizione vocale del testo, tenendo seminari e conferenze dipresso vari istituti, fra cui università e scuole medie superiori. Tiene regolarmente laboratori di poesia presso varie istituzioni pubbliche e private.
Dal 2004 al 2007 ha tenuto lezioni di poesia per il Master “L’arte di scrivere” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena, coordinato dal Prof. Romano Luperini.
Ha partecipato come rubrichista fissa (con la rubrica, Dire la poesia, sulla lettura ad alta voce dei testi in versi) alla trasmissione televisiva “L’ombelico del mondo”, ideata e diretta da Nanni Balestrini, Lello Voce e Sergio Spina, con la regia di Franza Di Rosa, per RAI 3 Educational.
Ha curato per Rai Radio 3 Suite, Storyville, a cura di A. Bottini, Vita di Janis Joplin.

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