Dante Maffia: “Canto dell’ usignolo e della rana”

 

di Carmelo Aliberti

Dante Maffia, calabrese del 1946, saggista, poeta e narratore, collaboratore di giornali e riviste e curatore di programmi per Rai due, ha fondato e dirige diverse riviste, tra cui “Poiesis” e recentemente a Roma “Polimnia” che si occupa esclusivamente di poesia.

Segnalato agli esordi da Palazzeschi, è stato considerato da Leonardo Sciascia e da Dario Bellezza come uno dei maggiori poeti italiani del nostro tempo.

La poesia di Dante Maffia può essere definita come un invisibile “orecchio cosmico”, teso a catturare l’eco di ogni suono, i lievi rumori della cronaca, le immagini sottili delle cose, i palpiti sottesi dell’alfabeto quotidiano degli eventi, in un’umile sinfonia universale, dove la cognizione del tempo si sgretola nel naufragio della luce e il disinganno del paradosso si trasforma in sentimento ferito d’amore appena venato dal tono sottile di un’ironia disciolta e resa evanescente dal vento lieve di una misurata musicalità che fermenta in armonie di spazi interni ai versi.

 L’inesorabile ciclo del tempo, che nel risveglio delle rose rinviene il miracolo della vita e nello svanire del brivido vitale cela il rapido fluire verso nuove forme di vita, induce Maffia, già nel volume Di Rosa e di rose, ad imprimere all’apparente rastrellamento della fenomenologia botanica un nuovo respiro d’amore e nei “Nodi del buio in agguato” riscoprire l’urgenza aghiforme del poeta, teso alla conquista di una verità assoluta, che nel poeta non si configura nella certezza degli assiomi, ma fluisce nell’attutito sfrigolare di un indefinibile senso di colpa, in un torrente di malinconia infinita.

Nella nuova raccolta Canto dell’usignolo e della rana che raccoglie versi dal 1989 al 2000, i testi poetici sono attraversati, più o meno palesemente, ora per convocazione istintuale di frammenti oggettuali o per il riverbero di gesti casuali, ora mediante il recupero di emblematiche impronte memoriali, ora mediante l’incisivo pulsare del dubbio, dall’emergere della resa nell’esile percussione dell’assillo metafisico nell’alveo della terrestrità appena avvertita nel sofferto nomadismo dell’ anima. Ogni pagina, ogni nucleo tematico viene sfiorato dalla leggerezza del dettato poetico in cui si avverte la fragilità dell’io, vanamente dolente sulla soglia del mistero dell’esistenza.

Il tentativo di riordinare la storia interna ed esterna dell’uomo si risolve in una sorta di codificazione spontanea, dove una filigrana di religiosità sommersa affiora nel determinismo naturalistico individuato nell’elemento dell “acqua”,  maffiamente protesa alla ricerca di un ordinato percorso metafisico.

Allora nell’inventario di fatti, di fenomeni apparentemente banali, nella ritualità iterativa della vita familiare, nel paradosso dell’interrogativo ludico, nei ritmi della vita scanditi da damine e vestiario ben delineati, in realtà Maffia sgomitola sofficemente il rosario delle catastrofiche seduzioni e degli inganni, incapsulati nelle cifre simboliche della parola che procede nella riscoperta del vero senso della vita, di fronte a cui resistono, forse come maschere inutili i semplici versi di un poeta che continua a scandire un’incomprensibile, quanto ostinata e laica preghiera: “….. Sono-ancora maldestro, non so chiamarti;- non so pregare. Sappi comunque- che non mi sono arreso a niente- e la dignità è stata la mia preghiera” (Non mi sono arreso).

 L’epicentro del problematicismo tematico di Maffia oscilla nella ricognizione del reale significato della vita e della morte, ma nel suo interrogarsi sul valore dell’esistenza, tra grido, protesta e affanno, il poeta scopre la dimensione dell’inutilità di ogni ansia conoscitiva di fronte all’universo del mistero, che disvela la nudità e l’inermità dell’uomo contemporaneo, privato delle energie necessarie e delle risposte adeguate a colmare il vuoto ultrafanico, nel quale sembra inesorabile l’affondare dell’essere.

La nitidezza delle strutture e delle figurazioni stilistico-formali, la ricchezza della tastiera lessicale, la ben articolata disposizione metrica dei versi, una sicura combinazione di lessemi e stilemi in cui risulta disteso il catalogo tematico ed ideale, imprimono un carattere di assoluta originalità alla poesia di Dante Maffia, alta ed inimitabile voce del parnaso del terzo millennio.

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