Parola ai Poeti: Loredana Semantica

 

Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Rispondo a questa domanda da frequentatrice di luoghi virtuali nei quali si scrive e si legge poesia e di poesia. Luoghi dove essa è proposta  e commentata da persone competenti che se ne occupano a livello propriamente o quasi professionale: i litblog, le riviste virtuali, ma anche da frequentatrice di altri luoghi, sempre in rete, dove essa è proposta da dilettanti appassionati  che ne fanno un consumo da fast food: continui, immediati e rapidi pasti di lettura.
L’impressione che ricavo da queste frequentazioni è che la poesia goda di buona salute, mi conforta in questo convincimento anche il susseguirsi ininterrotto di pubblicazioni di poeti noti, meno noti, del tutto ignoti, accompagnate da note critiche, recensioni, prefazioni, postfazioni, il tutto immancabilmente pubblicizzato nei blog letterari, al punto che talvolta sembra che essi ormai esistano solo per questo.
Cosa quest’ultima che non sarebbe neanche riprovevole se non fosse che in un certo tempo del recente passato di entusiasmi, vivaci confronti, aperture, esperimenti, a qualche ingenuo frequentatore, era sembrato che essi fossero venuti alla luce per ben più alti obiettivi legati alla poesia, come ad esempio educare i lettori al suo culto, a riconoscerla, a coltivarla, promuoverne la potenzialità di “infiltrazione” e metamorfosi del mondo.
Adesso la rete cova, culla, illude una marea di scrittori più  o meno dotati, più o meno seguiti, apprezzati, blanditi, più o meno in stato di grazia, più o meno consapevoli della necessità di un continuo cercare dentro e fuori di sé per pervenire a dire qualcosa che possa, non dico avvincere, ma almeno muovere l’animo o la coscienza, provocare una risposta mentale, lasciare una traccia nel ricordo. L’offerta di scrittura poetica è conseguentemente a volte di qualità buona, ottima, eccellente, altre volte così poco intrigante o ripetitiva, specie nel tema d’amore (nel quale più facilmente si cade nello stereotipo e nel banale), da annoiare, oppure così fredda, colta e artefatta che non ha dentro alcuna forza, alcuna luce o scintilla, lascia del tutto indifferente ed è subito dimenticata.
Però lo stato di salute della poesia è buono e lo è principalmente proprio per il fermento che c’è nella rete, dalla quale, nonostante tutto, svaniti gli entusiasmi degli albori, aspetto ancora qualcosa di nuovo, catartico, alternativo, utopistico, proprio come la poesia, o almeno, senza inutili verticalismi, l’incontro tra il mondo poetico virtuale e quello delle grandi case editrici, dei poeti famosi in una fusione che generi una nuova direzione, un modo e un mondo poetico nuovo, una nuova consapevolezza del futuro della poesia.
Quanto alla salute dei poeti, credo che essi si dibattano tra ulcera, colite e alta pressione. Malattie da stress, forse perché non diversamente da altri, a dispetto dei loro presunti veggenza, saggezza e distacco dal mondo, in realtà non sono alieni dalla competizione.
E la lotta per “l’immortalità” pare sia senza esclusione di colpi.

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Non ho mai pubblicato un libro con una casa editrice. Ho lavorato ad alcune raccolte virtuali autoprodotte che ho pubblicato su issuu. La scelta di pubblicare un insieme di poesie legate tra loro da un filo creativo è maturato con assoluta naturalezza, quando, nel 2009, ho scoperto il servizio issuu che permette la pubblicazione di pdf e, dopo l’upload,  una lettura come se si sfogliasse un libro virtuale. Mi è piaciuto molto, ancora di più quando ne ho scoperto la gratuità. Nel 2009 scrivevo poesie da oltre sei anni.
A quel punto è nata “Silloge minima”, la mia prima raccolta. Quasi un test di cosa fosse una mia pubblicazione in forma di libro. Poi si sono susseguite altre quattro raccolte: “Metamorfosi semantica”, “Parole e cicale”, “Ora pro nomi(s)”,  “L’informe amniotico”.
L’esperienza su issuu mi ha dato soddisfazione,  la lettura di centinaia di persone, e, trattandosi  di poesia, è un bel risultato.

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

C’è un punto particolarmente critico nell’editoria ed è l’accordo con l’autore che mette da parte la qualità a vantaggio dell’affare. C’è un punto molto critico in tanti scrittori la mancanza di consapevolezza che non è la qualità che ha indotto l’editore a pubblicarli, ma l’affare. Insomma l’editoria non dovrebbe essere un affare a scapito del pregio della pubblicazione, ma del resto, anche in altri ambiti, c’è mai cosa che si faccia senza un tornaconto generalmente economico? Cioè l’idea che ci sia l’editore cacciatore di talenti,  che assume su di sé il rischio di scelte nuove e/o controcorrente, quello che crede profondamente nella bontà di tutto ciò che pubblica, è un’idea “romantica” di un editore che, se ancora esiste, è un sopravvissuto. L’editoria per questa via è diventata un’industria che sforna carta stampata da vendere.
E’ per questo che non ho suggerimenti da dare, se non quello di contrastare questa tendenza, nel solo modo possibile, lavorando con serietà, con la maggiore possibile onestà intellettuale. Dalla parte opposta invece i poeti , secondo me, specie quelli veri, non sono mai stati bravi a gestire gli affari, ma anche questa forse è un’idea superata e romantica, certo è invece molti si muovono, si promuovono, si danno da fare. Alla fine forse è vero quello che disse un editore che ho incrociato in rete: il miglior poeta è il miglior manager di se stesso.
Tanto vero quanto sconfortante.

 

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

La poesia sarà sempre più nel web nella misura in cui il web sarà sempre più nella vita delle persone. Il che mi sembra avvenga sempre più intensamente.
Quanto alle librerie è noto che la poesia cerca amanti più che lettori. E gli amanti sono rari. Le librerie vendono ciò che viene loro maggiormente ricercato e hanno pochi libri di poesia, salvo i casi di librai appassionati di poesia o che si specializzano richiamando clientela.
Il maggior vantaggio di internet è di permettere anche a grandi distanze la comunicazione scritta, audio, video in tempo reale e senza confini. In fondo assomiglia alla poesia: comunicare senza confini. Tant’ è vero che la mia vocazione poetica è nata e maturata attraverso internet, potrei quasi dirla  una chiamata virtuale: la potenzialità del dire cosmico in uno spazio illimitato vitale.
Tuttavia questo senso di libertà nel tempo ha dovuto fare i conti con i “tornaconti”. Vedi la chiusura delle prime piattaforme blog, la chiusura della mia casella di posta gratuita.
I limiti di internet, inteso come spazio espressivo free, sono quindi di tempo, ciò che è gratuito nel tempo finirà, internet sarà tutto a pagamento. Per questa via tra dieci anni potrà essere del tutto alternativo alla carta stampata e altrettanto remunerativo. I rischi allora saranno probabilmente gli stessi dell’attuale sistema editoriale.

 

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Ai critici si richiede la stessa cosa che si chiede agli editori, lavorare con la massima onestà intellettuale possibile. Perché ciò avvenga devono superare la logica dello scambio, del do ut des, della casta, dell’autoreferenzialità che, a mio avviso, sono sempre più accentuati, man mano che si eleva il livello di “glorificazione” del critico e/o poeta. Alla comunità critica riconosco competenza, interesse, impegno, ma anche la difficoltà di orientarsi nel marasma, di liberarsi da certi meccanismi che viziano la libertà del loro giudizio. Il ruolo dei critici dovrebbe essere esattamente quello che svolgono, saper leggere i testi, oltre e dentro di essi, senza pregiudizi e condizionamenti, avendo a cuore solo la poesia.

 

Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Il canone non si può disconoscere. Autori che rappresentino un modello, un riferimento ci sono sempre stati.  Leggo poesie di classici che destano meraviglia, ammirazione e sono costruite in modo perfetto. Semplicemente perfetto.  Il canone ci influenza anche contro la piena consapevolezza, sol che si legga e conoscano gli autori classici. Nella scrittura si trasfonde  tutto ciò che  si è studiato, la trasfusione riesce ancor meglio se si è anche tutto dimenticato. Ricordo che al liceo la mia professoressa si era ostinata a farci studiare nella lingua e metrica originale i testi  degli autori di poesia latina. Non sarei più in grado di operare la scansione dei testi, ma quel suono, quel ritmo che si costruiva con la partizione in sillabe e l’alterazione degli accenti,  è rimasto in me come un’eco che batte ancora il suo tempo.  E’ così che mi spiego  perché a volte la poesia nasca prima come suono che come parola, perché ritorno su un testo finché quello non suoni esattamente come deve. Si dice che questo suono sia nella testa del poeta, ma come si addomestica? Come si affina? Se non avendo dei modelli di riferimento. Così anche per gli altri elementi della poesia.
Nello stesso tempo il canone è il limite da superare per andare oltre. Come si infrange, o meglio si evolve, il canone se non proponendo innovazione nella tradizione?

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

Il Ministro dovrebbe avere il ruolo che compete al suo dicastero. Promuovere la cultura. I modi per promuovere la buona letteratura sono quelli di stampare buona letteratura, pubblicare buona letteratura e diffondere buona letteratura. Qui c’entrano editori e critici, oltre che, naturalmente, gli autori. La buona poesia non fa eccezione.

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

La televisione ha ancora una grandissima influenza. Adesso anche internet. Senz’altro il massimo rilievo è da riconoscere alla scuola. La diffusione della cultura poetica necessita di far circolare propedeuticamente un messaggio molto semplice. Che la poesia è, osservazione del mondo,  ricerca interiore, critica, rivoluzione, scardinamento, caos, ordine, disciplina, pazienza, massima cura e attenzione, infine sintesi di questo lavoro nella più bella forma del dire. Insomma si dovrebbe far comprendere che la poesia è tutto tranne che freddo esercizio di bella scrittura. E’ così che tutti ameranno e comprenderanno la poesia. Scoprendo di essere tutti poeti.

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Il poeta è un apolide e nel contempo è cittadino. E’ questione di quale lente usa nell’osservare il mondo. Possiede entrambe le ottiche.  Verso il suo pubblico ha l’obbligo della verità, della provocazione, della condanna, della crocifissione, dello stimolo, della speranza, del richiamo costante all’essenza più alta dell’umanità. Ha l’obbligo di sentirsi uomo con gli altri uomini. Sempre in pericolo e sempre attento, intento al mondo, a comprenderlo e a comprenderne l’evoluzione, a trovare chiavi di lettura, alla costante ricerca della salvezza comune, perlomeno di una via che non sia di perdizione.

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Fare poesia è un lavoro continuo. La poesia non nasce per ispirazione o disciplina, sebbene comunemente si parli di ispirazione e labor limae, in realtà essa  comincia prima del momento in cui fuoriesce, in una sorta di operazione di acquisizione, apprendimento, registrazione, riflessione che si svolge contemporaneamente al vivere in quel preciso tempo e in quel preciso luogo.
Solo dopo essa nasce, dopo la necessaria gestazione, quando la mente vola, oppure si raccoglie in silenzio, come in preghiera, si introflette e cerca come una sonda, uno scandaglio, allora la poesia gonfia, preme per uscire (momento che si definisce comunemente di ispirazione).
E’ in quel momento che, anche repentinamente, una sorta di lampo, nel posto meno adatto o alla giusta postazione, in maniera più o meno (im)perfetta, per un impulso di senso o di pensiero, la poesia nasce, mescolando a volte con rapidità impressionante, tutti gli elementi che hanno compiuto l’intimo processo di elaborazione, maturazione, fermento, macerazione.
E’ allora che presente, passato, quel preciso luogo e tutti gli altri luoghi, le cose, le persone, la memoria, l’istante luminoso, quello di prostrazione, i desideri, i sentimenti, le intuizioni, tutte le negazioni, le rese, gli abbandoni,  tutti rivendicano il loro posto al mondo, uno spazio sul foglio, anche una virgola, un articolo, una sola parola.
E’ del poeta governare questo affollarsi e dare spazio al pensiero ch’è in quel momento più necessario, quello che svetta più limpido e luminoso di tutti. Del resto il poeta nemmeno sa per quanti quella poesia nascerà, per quanto tempo ancora il processo poetico potrà andare avanti, e se mai riuscirà a dire tutto quanto. Non sa cioè se la scintilla si accenderà ancora, nemmeno anche solo una volta ancora.
Io non faccio niente per tenerla accesa, direi che vivo. E basta.

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

La poesia comunica, ma intransitivamente, essa non ha complemento oggetto, ma nemmeno ha complemento di termine o di fine.  Essa è di per sé. In valore assoluto.
La poesia anche quando sia dedicata oppure espressa in seconda persona, quindi apparentemente diretta a un interlocutore, tanto reale, quanto ipotetico, non per questo dismette la sua assolutezza.
Analogamente quando il poeta usa la prima persona, perché sebbene il poeta dica “io” non per questo intende parlare di sé, poiché egli, tramite e transito, dice degli altri attraverso sé, empaticamente immerso in quello stesso flusso, fluido, spirito, dicendo di sé sta parlando del suo essere umano tra gli umani, osservatore e osservato, giudice e condannato.
Nonostante ciò, nello stesso tempo, la poesia di quel poeta è anche il poeta stesso, tutto intero e nulla escluso, quello che lui è, che è stato, che sarà. Suo insieme e smembramento. Donazione e consegna. Lascito e testamento.
La poesia non ha nemmeno un fine, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire. Per quanto attraverso la poesia si tenti un continuo scardinamento del sistema, un continuo tentativo di eversione e di capovolgimento, l’applicazione di una forza, l’opposizione e la resistenza.
Per quanto la poesia voglia l’abbattimento del muro, dell’odio, dell’indifferenza, la conversione della negazione, e nel contempo l’affermazione orgogliosa e ostinata di quest’ultima, come un vessillo una sfida, un sigillo.
La poesia tenta il raddrizzamento della deviazione, la denuncia della prevaricazione,  dell’errore e dell’orrore dell’essere uomo nel mondo, preso atto di tutto ciò,  la poesia è anche spinta vorticosa alle radici della sua, cioè dell’uomo, più nobile, intima, limpida essenza.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

I miei figli sono cresciuti con la mia poesia. Non nel senso che se ne siano nutriti, ma che il mio scrivere cresceva insieme a loro, di pari passo. Un loro millimetro in verticale un nuovo testo poetico. Un crescere fisico cioè.  Nell’atteggiamento invece da un’iniziale intolleranza di questa cosa che “rubava” la loro mamma sono passati ad una accettazione. Probabilmente frutto di questa crescita appaiata, quasi fraterna. Mio marito ha un grandissimo rispetto della poesia. Anche di me.

 

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Sì, svolgo un lavoro che ha poco a che vedere con la poesia. Sono un funzionario pubblico. Potrei consolarmi dicendo che sono in buona compagnia con Kafka, Svevo e Balzac.
C’è stato un periodo della mia vita che ho desiderato dedicarmi interamente, più che alla scrittura, che pratico ininterrottamente da anni, allo studio della letteratura.  Soffrivo di non avere il tempo di approfondimenti, analisi, che persone dedite ad essa interamente, magari anche per professione, possono permettersi. Le invidiavo.
Adesso sono giunta a un equilibrio in entrambe le direzioni.
Nel lavoro per la convinzione che forse la mia passione si è sviluppata grazie alla compressione spirituale connessa ad esso, che  di creatività davvero non ha bisogno.
Per l’altro aspetto, nella convinzione che forse il mio spirito è maggiormente affine al Boccadoro di Hesse, più che a suo Narciso, se non nel girovagare il mondo, quando meno nella necessità di esprimerlo creativamente.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Per il mio futuro spero che la poesia resti e resista, che mi accompagni fino alla fine dei miei giorni, per quanto ogni giorno sembri finire, che non mi abbandoni.
Per la poesia spero che lasci un segno, imprima una direzione, converta, faccia riflettere, sia amata, si diffonda.
Alla poesia mancano più lettori competenti.
Ai poeti d’oggi manca l’ascolto come interpreti autorevoli della società.

 


Loredana Semantica, nata a Catania nel 1961, è laureata in legge, sposata con un medico, ha due figli,vive e lavora a Siracusa come funzionario pubblico. Si interessa di poesia, fotografia e lavorazione digitale di immagini. Proviene dall’esperienza di partecipazione e/o collaborazione a gruppi poetici, di fotografia, arte digitale, litblog, associazioni culturali  nel web e su facebook. Ha pubblicato in rete all’indirizzo http://issuu.com/loredanasemantica le seguenti raccolte visuali e/o poetiche: Silloge minima (7/11/2009) Metamorfosi semantica (3.2.2010), Ora pro nomi(s) (27.3.2010) Parole e cicale (13.8.2010) L’informe amniotico (27.2.2011). Gestisce il blog Di poche foglie.

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