STATI DI ATTESA – In attesa degli assedi

 

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Sono seduto al bar matilda sulla graefestrasse con il mio portatile connesso e finora inoperoso (lo dico per creare un po’ l’effetto-cinema …). Aspetto di fare la mia prima conversazione-viaggio di questa rubrica, ma l’appuntamento è incerto, c’è una promessa di massima, ho mandato le mie domande alla compagna di viaggio e aspetto di mettermi in marcia per un pezzo di strada con lei. Cominciare un viaggio non si riduce mai a prenotare un volo, fissare una data di partenza, magari anche già una di ritorno, e seguire il corso degli eventi. Ci sono viaggi, non proprio tutti, che vanno costruiti sapendo certo che non possiamo (né vogliamo davvero) stabilire i dettagli a tavolino. Un ritardo, un rinvio, una pausa imprevista, un guasto da riparare prima di avviare o riavviare l’avventura, fanno parte del gioco e Poeti-Cut è un viaggio come tutti i viaggi, quindi lungi da me ripulire questo percorso dalle variabili inevitabili di un discorso aperto, di una navigazione a vista. Da un punto A ad un punto B non c’è tragitto astratto, non c’è scaletta rigida che possa essere rispettata come vincolo essenziale. Sappiamo dove vogliamo andare, non sappiamo come ci arriveremo, con quali pensieri, con quali versi stampati nella mente. E’ chiaro. E allora adesso che mi trovo sospeso in questo principio di rubrica faccio una rassegna meditata di repertori poetici e visivi di oggi 5 gennaio 2012, che sono diversi dai repertori di ieri, che si innestano su quel pantheon programmatico, da Cocteau a Bill Viola, sempre da rifare, da tessere nuovamente. ECCO L’ IMMAGINE che continua a girare nella testa oggi, ricavata da un articolo apparso su repubblica.it e notizia che molti avranno letto anche altrove: il poeta Cappello “attende” i benefici della legge Bacchelli / appello della regione Friuli Venezia Giulia per la concessione dei privilegi previsti dalla Legge Bacchelli a uno dei più grandi poeti italiani contemporanei, costretto a vivere nell’indigenza.

Ecco parte del testo di Maurizio Crosetti:

Cappello versa in condizioni di estrema indigenza / paralizzato su una sedia a rotelle dal 1983 / aveva 16 anni, era un brillante centometrista, sognava di fare l’aviatore, quando un amico gli diede un passaggio in moto / Incidente, l’amico morì sul colpo / Pierluigi iniziò un calvario di interventi / gli hanno permesso di continuare a vivere / gli hanno provocato un’estrema fragilità fisica/ Da tempo ha bisogno di assistenza 24 ore su 24 /Fino al mese scorso ha vissuto in un prefabbricato del terremoto a Tricesimo, catapecchia abbandonata prima di Natale perché ormai inabitabile e infestata dai topi / Oggi Pierluigi vive con la madre in un minuscolo appartamento dove non esiste neppure il collegamento a Internet essenziale per un intellettuale che poesie a parte può comunicare solo grazie alla Rete e al telefono / Tutti i suoi libri sono rimasti negli scatoloni, il letto è un piccolo divano, l’assistenza a domicilio un peso insostenibile per chi non ha alcun tipo di reddito ma solo un’esigua piccola pensione di invalidità.

Mi viene male anche a pensare che il suo non è il primo caso in Italia e non sarà l’ultimo di offesa a quel minimo di dignità utile a vivere e a scrivere poi versi luminosi come i suoi. Qualcosa bisogna fare. L’importanza di questo viaggio video poetico si riduce, si perde al confronto, al punto che il vero viaggio concreto da intraprendere sarebbe, ora, adesso, quello in direzione Friuli a provare a dare qualcosa di sé a un poeta che diventa, nel bisogno e nell’umiliazione, “tutti i poeti”. Ci si sente dei fighetti nauseanti al confronto con dolori così, con pene di questa statura. E proviamo tuttavia a restare fedeli al video, alla dimensione del film e dell’immagine come estensione della scrittura, di quello che proviamo tutti a non far diventare mai, mai, mai un semplice e fiacco poetichese.

Proviamo allora a buttare giù appunti per un film a tema: mi immagino Cappello, come Cappello, al posto suo, ci immagino tutti, scrittori e non, nelle stesse condizioni ultime o penultime e non funziona. Allora provo a vedere un film, una poesia filmata dagli occhi di Cappello e le immagini sono immobili, immanenti. Mi attraversano le parole che ha steso con leggerezza, il film emerge dal buio della mia mente. Lascio da parte quella condanna retorica del poeta afflitto che alimenta nuove generazioni di poeti afflitti, che sono afflitti davvero, ma la cui afflizione, “se va bene” – e di rado, figuriamoci – viene giocata come segno distintivo mistificatorio, come comodo brand e poi si può pure crepare. Ci vuole un ORIZZONTE SOLIDALE più che una costruzione simbolica stucchevole del “freak”, che conviene resti freak, a uso commerciale. In fondo siamo troppo fedeli alle macchiette, ai personaggi della commedia dell’arte e non solo, che non cambiano mai, e poco cogliamo dell’importanza drammaturgica e non solo del viaggio dell’eroe di Vogler alla base di tante buone sceneggiature americane e non solo. I versi di Parole Povere sono appunti di un film da fermo, esemplare. Ecco alcune scene-sequenza che ho numerato e identificato con un titolo di riferimento:

1. TRONCO RAMO BRACCIO CRACK

Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato

2. OCCHIO CHIUSO

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.

3. CHIOSTRE, RISATE

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

4. CARTA VELINA

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

5. SLAPSTICK#1

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

6. SLAPSTICK #2

Uno[ …]si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

 

E ancora:

7. LUCE FIOCA

Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.
[…]

Seduto davanti al portatile, in questa sala cinematografica continua che è la testa, mi scorrono queste immagini davanti, mi fermo su questa terzina che sfida il tempo delle immagini, il tempo cinematografico che si scrive sempre al presente. Ci torneremo. Intanto mi incanta la dimensione paradossale di questo “l’ho ricordato adesso adesso”, come di qualcuno che scrive sempre dal presente e attinge ricordi dal presente riconducendoli al presente pur non riuscendo a materializzare l’immagine, il volto, il referente, la cosa che nella poesia è “non ricordo che faccia abbia” e in un film potrebbe essere un volto coperto, velato come gli amanti di Magritte. Ritorno a Mariangela, dal suo nome e cognome ricavo le lettere che compongono René Magritte. Eh eh. Capita così, scrivendolo. L’aspetto, Mariangela, comparirà su questa rubrica senza ansie, anche perché la cosa sconvolgente della poesia e delle immagini è che sono un viaggio percorribile in ogni istante al di là di ogni viaggio che possiamo organizzare a tavolino o desiderare come l’unico viaggio di cui davvero abbiamo un gran bisogno. La poesia ora mi dice che c’è sempre almeno un altro viaggio accanto a questo viaggio …

Gabriele Nugara
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