Gabriella Palli Baroni legge China di M. P. Quintavalla

 

di Gabriella Palli Baroni

In esergo tre versi suggeriscono il significato di China. Breve storia di Gina, tra città e pianura di Maria Pia Quintavalla: «Non farti spodestare, China, / nel ritrovato tuo  cuore che reclama una vita / integralmente sua, e salva». È lo stesso valore che Attilio Bertolucci, grande maestro del romanzo in versi (La camera da letto, ricordiamo, ha segnato con la sua poesia che sfiora la prosa il secondo Novecento poetico) assegna , sulla scia di Proust, alla memoria involontaria , che fa rinascere epifanicamente il passato e «salva» dallo sperpero dell’esistenza e dal passaggio inesorabile del Tempo.  Quintavalla è  nel suo itinerario poetico vicina a Bertolucci, avendo raccolto l’istanza liricamente  narrativa e feriale del poeta della sua terra per giungere a quest’opera, racconto di una vita in cui si riflettono molte vite, racconto autobiografico, particolare e universale come spesso è la poesia. Il romanzo in versi, musicalmente disteso in  sequenze di versi liberi di varia misura, si apre su di un Prologo, cui seguono sei Parti, che scandiscono, a partire dalla malattia e dalla morte della madre,  momenti di vita vissuta, quadri che uniscono verità della vita e verità dell’anima. Gina, il nome della madre, diviene familiarmente, per il viso un po’ orientale della donna, China. Il nome, rimandando al   paese immenso e sconosciuto,  è assegnato a colei che si vuole richiamare da un’infinita lontananza ad un presente racchiudente nostalgia e svelamento, rimpianto e amore  (quanta pietà filiale nel Prologo e lungo il canto!).  La separazione è crudele, altra è la «riva» cui Gina è approdata e si noti l’iterato rintocco «Fiume riva strada, bruciano  campanili / dietro la riva la infinita distanza [···] riva buia strada [···]» che ricorda l’ incipit della seconda sequenza del capitolo XXXIV Maria della Camera da letto: «[···] la cara, la diletta persona /  è già sull’altra riva e non ci sente -/ fra noi e lei corre un’acqua impetuosa /che si porta via le parole-».

Eppure «Siamo passati e non siamo morti, / siamo morti, e non siamo passati» ed è possibile, pur senza traghettatore per varcare il fiume dell’aldilà, narrare, con parole leggere e sempre vive, con le parole della poesia, una storia intima e femminile. È possibile inseguire chiarezza e mistero, evocare  i segreti che la memoria conserva: «ancora viva tu, se amata». La voce narrante che dice «tu» è ora densa ora lieve, sempre ricolma d’emozioni nell’estrarre dalla relazione materno – filiale nodi oscuri, difficili scambi, attrattive e ripulse. La stessa densità e levità  e lo stesso intenso respiro sentimentale ritroviamo nel ritmo, nel tono, nell’equilibrio tra un andare colloquiale e pacato, innestato talvolta di colorate voci dialettali, e punte che s’innalzano drammatiche e che possono tornare a  Jacopone da Todi («non sentimmo, imploravi /Figlia, figlio, accurri»; «Udite, /sono qui inchiodata, /né resurrexit, dolorosa donna di via crucis») o possono ricantare la Canzone di un viandante di Malher  e la sua musica struggente  in cui si cela «un morire seminato ricomposto /in propensione alla forma, / gli occhi volgersi dentro, chiudersi sul cuore, / dalla parte dell’anima, nei campi, / o in cielo aperta, disparire rifiorire». Quanta vita segreta e inquieta trascorre nei versi; quante figure riappaiono a intrecciare il gioco della quotidianità  domestica,  tra usi e oggetti di moda (i foulards, segno dell’eleganza di un’epoca), visite e parentele; quanti desideri inespressi (una fuga? un’intimità negata? una tragica storia d’abbandono?), mentre dalla parte della figlia, che aspira ad un’unione più profonda, «tende nomadi, sovrane» si aprono, reti sottili si diramano, il filo del pensiero si fa scrittura: «con le unghie e col sangue avrei scritto, / sentimento del tempo, di me stessa». La storia della madre s’intreccia indissolubilmente alla storia della figlia, la prosa della prima alla poesia della seconda, che in essa ha intravisto il proprio destino, la propria autonomia nel «vento della vita», oltre «la soglia fulminata /monito condanna a chi voleva /da lì muoversi, salpare». Della madre, donna umiliata e chiusa in una sua gelosa estraneità, scopriamo il volto più vero, che il filo ondulante della memoria e della poesia avvicina e affida al futuro, mentre la morte trova un esito naturale nella dolcezza di chi «salva un posto nel cuore». Solo la poesia infatti, con il sogno e con l’amore «che ci lega invisibile ai più», può varcare la «riva», colmare il vuoto e restituire il Tempo.

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  • Nella sensibile testimonianza di lettura di Gabriella Palli Baroni, la “prosa” della madre fronteggia la “poesia” della figlia, consegnando alla separatezza dalla vita, cui vorrebbe relegare entrambe,la sua solitudine; e designandola, nel contempo, a ridare vita alla sua voce. Grazia, questa, che avverrà, invece, soltanto grazie alla poesia…
    “Tutto un nastro ai miei occhi si svolgeva”, dico in uno dei racconti La sostanza”, dove la messa in scena della fame “non più curabile da un amen” è il principale messaggio corporeo che la madre le dona, ma troverà “nelle ferita della letteratura” il suo medicamento, la figlia…
    Ritmi e metri faranno poi del loro meglio..
    Mi rispecchio in questa lettura di Palli Baroni.Grazie.
    Maria Pia Quintavalla

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