Alessandro Ghignoli: “Fabulosi parlari”

 

Fabulosi parlari

Alessandro Ghignoli

2006, 45 p.

Gazebo Edizioni

È subito il calderone, l’immersione nel caldo brodo della cultura, dove da ogni riemersione si hanno fra i denti sfilacci di petti di portoghese, di zampe di spagnolo, conditi da viaggi in mondi solo un po’ più lontani, ma che sanno di ultraterreno, di meta paradisiaca: “fosse somma cosa il fabulare fabuloso insieme de come li poeti deono parlare de l’amistade de i viaggi andati si todo fuera la vita vera del dire sfinita e todavía in questa curva via ancora scriventi ancora cercando una sola una palabra mia”. E in cerca di una parola sua, che sia solo sua, Alessandro Ghignoli si rituffa e con atletica capriola ci serve conditissima minestra. La prepara infiorettando con preludi e saluti, con inchini e sguardi ammirati ad altri libri, ad altri suoni, a inizi impertinenti e a finali rivoltati. E, dimentico del travestimento iniziale, effettivamente si mette in cammino in questo libresco mondo, fatto a sua immagine e somiglianza. Inventa parole che stanno a metà, restando in bilico, fra lingua straniera e lingua madre, fra lingua latina e italiano antico: “le magnificienzie tutte de etade passate e.lle moite antiche scritture similmente volgarizzate in iovine parola in aitra parte in aitra lingua in aitra mormorazione se detenne nella novitate dello canto”. E’ la lingua che unifica il mondo. E, dunque, basta da solo il gioco sulla lingua, dove le parole sono scelte anche per il loro uso comune, quasi consunto dall’uso: “segni si moltiplicano nei gesti alla ricerca tra soggetti e testi in fuga in avanti in infiniti fini vuoti sfumature tra notte giorno cede il sipario le dure vernici la luce morbida sulle figure”. Più che il senso potè il suono nel ricreare il mondo: “interno alla frontiera della memoria il pensiero non è se non parola andante della negazione in equi silenzi dell’idioma l’equilibrio in esilio nell’istante del suono”. Ed è mondo di apparenze, di fantasmagorico movimento. Sarà dai detriti del senso che si potrà ricostruire un nuovo significato. E sarà inevitabile passare per una camera sonora. Quella di “Fabulosi parlari“.

(Rosa Pierno, su Anterem e La dimora del tempo sospeso)

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Alessandro Ghignoli è traduttore e poeta, e forse è proprio la pratica di ricreare poesia da un’altra lingua a far sì che nella sua scrittura (o almeno in questo libro) sia evidente una profonda riflessione sull’andamento del pensiero, quando questo pensa in poesia. Dunque una meditazione poetica: un atto di percezione e di conoscenza (come deve essere la poesia per essere definita tale) che risale in superficie anche attraverso i movimenti fisici dello sguardo. E il ritmo (che nel linguaggio poetico è misura emotiva dei significati che si vogliono imprimere) è dato dal movimento delle palpebre (“poi ognuno palpebra il suo tempo”; “le risposte nella lite mite delle palpebre”) e dal flusso pacato ma decisivo di una lingua attorcigliante, fatta di concretezza viva, corporea.
“Tutt’intorno una precisazione doppia…”, ecco una dichiarazione di poetica, o almeno di ciò che secondo l’autore sono le cose in lingua di poesia: una parola precisa, che avvolge noi, il mondo circostante e il reale nuovo e altro che si sta creando mentre si scrive; ma, nello stesso tempo, una parola dai sensi duplici o più, non per incapacità di scegliere, ma per la grande ricchezza di potenzialità semantica che la parola poetica offre a chi ha voglia di ascoltarla.

(Giorgio Bonacini, su Blanc de ta nuque)

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