Carlo Bordini: ‘Non è un gioco’

Non è un giocoCarlo Bordini

2008, 64 p., brossura

Luca Sossella Editore (collana Experior)

Ha ragione Carlo Bordini: la poesia – e in generale la scrittura che produce senso – Non è un gioco. È questo il titolo del suo libro da poco uscito presso Luca Sossella. Un taccuino di appunti da viaggi, dall’«incontro con un’utopia». Inizia così: «Nel mese di maggio dello scorso anno ho partecipato al festival di poesia di Bogotà. Bogotà è la capitale della Colombia … Mi sono imbattuto in una società piena di gravissimi problemi (una guerra civile che dura da moltissimi anni, il traffico di droga) ma animata da una grande tensione etica … che si avvale del veicolo della parola, della poesia, come uno degli strumenti necessari e portanti per rifondare la società».

Oltre a pagine di Bordini, sono dunque raccolte memorie, documenti: una Conversazione con Stefania Scateni a proposito del festival, e un’intervista “in forma di racconto” fatta dall’autore a Pedro Alejo Gómez Vila, direttore della Casa Silva, il centro di poesia «più importante dell’America Latina»; e inoltre una Breve storia e breve descrizione del Festival di poesia di Medellín, seguita da una Lettera degli artisti e degli intellettuali per la pace in Colombia, «indignati e feriti dalla guerra che devasta il Paese, dalla continua barbarie paramilitare». Troviamo inoltre una Lettera sul senso della cultura, di Laura Ceccacci, che lavora a Barcellona come traduttrice e consulente editoriale; e infine una sezione di traduzioni di poesie (Questa non è un’antologia) che in poche pagine sostiene con energia l’identità anche politica del percorso del libro.

Essendo davvero la poesia tutt’altro che un gioco, il libro composito (collage ma ipercoerente) di Bordini spiega dove e come sia inaggirabile e fondamentale confrontarsi con i versi proprio grazie allo sguardo dell’altro (= lo stesso) che è il mondo latinoamericano. Il cahier allora non offre solo dei documenti di attraversamento di un’esperienza (“Experior” si chiama la collana in cui esce), non semplici cronache, microdiario, fotografie viste e scritte, ma anche dichiarazioni, voci, frammenti trovati: e tutti gli scritti, forse perfino quelli che Bordini non firma ma solamente cita, vestono quella leggerezza e ironia e quello stile affabile e acutodistratto che è specifico del suo lavoro di poeta e prosatore. Una dolcezza asciutta che qui racconta e proviene da (e va verso) il sistema o meglio l’antisistema della poesia che innerva alla lettera tutta la società sudamericana. «Nella città del naufragio ho avuto l’impressione di svegliarmi in un altro mondo in cui è possibile la dimensione collettiva e in cui la parola si ascolta con attenzione che coinvolge il corpo». Questa vita e vitalità appare incredibile a sguardi europei (per tacere dell’Italia). Ma il suo messaggio è nemico del negativo: perché «si direbbe che la cultura sia viva e necessaria nei paesi in difficoltà del mondo, che quella di oggi sia una cultura della crisi. Più seria. Più profonda. Più etica».

[ Recensione di Marco Giovenale comparsa, con il titolo redaz. Da Carlo Bordini incontri con l’utopia in forma di appunti, in «il manifesto», 9 apr. 2009, p.14 e pubblicata già su Punto Critico ]

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