Gianni D’Elia: ‘[Coro della Cometa]’

 

[Coro della cometa]

Gianni D’Elia

2004, 12 p., brossura

Editore LietoColle (collana Il Graal)


Non so se è nostalgia dell’amico (ognuno di noi ha seguito le sue strade nella vita e ci si è persi di vista…) o che cos’altro sia: l’ultimo libricino di Gianni D’Elia mi ha profondamente commosso per il suo vigore poetico che, paradossalmente, poggia sul sentimento della tenerezza. Versi che sembrano nati dalla bocca di un bambino (non a caso Gianni cita il Pascoli, così come non a caso e per altre ragioni cita la ginestra, il tenace arbusto del Leopardi, e il ramoscello d’ulivo, che qui nulla ha a che fare, ovviamente, con la politica), che hanno il pregio dell’azzurrità, di quell’azzurrità salina e marina della poesia adriatica, quell’innocenza che David Turoldo avrebbe voluto al potere. Se la leggo con un sentimento particolare, questa scrittura mi rammenta i cori delle antiche rappresentazioni della grecità (ma forse, qui, la parola “Coro” nel titolo mi fornisce una suggestione; o forse no…). Un altro modo di leggerla mi rammenta appunto il Pascoli. Un altro ancora un’atmosfera quasi brechtiana. Un altro mi immerge nel Natale, nel suo clima (autentico però, non quello del mercante…). Suggestioni che non possono stare insieme, secondo una “normale” o professorale maniera di leggere un testo, ma che nella psicologia individuale, che ha le sue vie che la ragione non conosce per dirla con Pascal, ci stanno, e ci stanno bene.

Ma torniamo all’inizio, alla “tenerezza”, che è qui espressione di forza: la forza di chi rivendica all’innocenza la priorità nella convivenza – e ovviamente nella politica e nel rapporto fra i popoli. Questa è una poesia dove la pace viene invocata col cuore di un bambino, dove in pochi tratti è messa in evidenza, assieme al desiderio naturale della pace, la stessa ontologia dell’uomo – che non vuole la guerra, perché nessuno vuole la guerra eppure noi viviamo nella guerra, ne siamo intrisi. Questa è la contraddizione che stride: la parola del poeta che si leva con la sua innocenza, con la sua esile forza radicata nella stessa ontologia dell’uomo, e la realtà, la realtà che vede i poveri combattere e morire per i ricchi, senza vantaggi e per giunta con onta, con vergogna.

Chi conosce la poesia di Gianni D’Elia, che è essenzialmente poesia sociale (non solo politica e tanto meno ideologica, come qualcuno ha scritto, perché Gianni s’ha da leggere come poeta, perché pensa come poeta – e i suoi versi lo stanno a dimostrare) si accorgerà della grande differenza anche solo da una delle ultime opere, “Sulla riva dell’epoca” che ho bene in mente: ed è sostanzialmente una differenza di tono, che qui diventa, a mio modo di vedere, più potente nella sua serenità, nella sua delicata precisione (in confronto al grande affresco, oserei dire “dantesco”, che si trova in quel libro). Linee espressive essenziali e precise, linguaggio immediato e diretto, tono chiaro e quasi naive. Mentre leggo il testo sento un coro di bambini, ma la poesia è per adulti.. questo mi colpisce, mi incuriosisce…

Non bisogna perderlo questo bel “libricino d’autore” di LietoColle: è davvero qualcosa di unico anche nella poesia del nostro D’Elia.

(di Gianmario Lucini, su Poiein)

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