Collettivomensa ascolta Gabriele Frasca

 

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Non mi sento underground. Penso che la situazione italiana sia tale che è l’Italia che è underground , l’Italia è  sepolta o sicuramente si sta progressivamente seppellendo, si sta staccando dall’Europa, si sta staccando dall’occidente. Sta diventando una nazione molto piccola, piccola anche intellettualmente, anche culturalmente. E’ una nazione che si sta chiudendo in  se stessa, nella sua piccola realtà campanilistica e autoreferenziale: sia a livello politico che letterario. Credo che il problema sia partito inizialmente a livello culturale e poi si sia esteso a livello politico. E’ come se l’Italia fosse stata berlusconiana prima di Berlusconi. Berlusconi slatentizza un sintomo che è ben presente in Italia da tempo. L’Italia ha sempre avuto una passione per i capetti – i nostri piccoli capi, i nostri piccoli dittatori, che alla fine sono delle macchiette. Tutti i dittatori cercano di essere delle macchiette: quello che piace alle persone è probabilmente proprio questo. Una persona non si identifica con un personaggio inarrivabile, si identifica sempre con un personaggio mediocre; il pensiero che ne scaturisce è: “se lui ce l’ha fatta, ce la posso fare pur’io”.

Il mio rapporto con l’editoria è ambivalente. Mi trovo a lavorare sia per la piccola editoria che per la grande editoria, come per esempio può essere per Einaudi e in questo caso parliamo proprio del nemico perché Einaudi ormai è Berlusconi. Per altre cose, invece, cerco disperatamente di trovare altri editori e di lavorare in una maniera diversa per rifuggire alla massificazione che è inevitabile nel caso della grande editoria.

Il mio lavoro per Einaudi mi lascia totale libertà ma soltanto perché mi occupo esclusivamente di due settori particolari. Uno è la poesia. La poesia non vende e quindi sulla poesia non intervengono anche perché sarebbe inutile visto che il più delle volte le poesie non si capiscono. Il secondo sono le traduzioni beckettiane e lì si tratta di un’opera che già esiste e quindi non si può bloccare.

Credo, invece, che scrittori che lavorano per Einaudi, come ad esempio i Wu Ming, abbiano dei problemi ben più seri; penso che loro debbano rimanere per forza su un target, non potrebbero mai scrivere una cosa diversa da come la scrivono. Volendo metterla su questo piano, i Wu Ming si sono venduti da subito. Quando lo dico non ho un preconcetto morale: penso che in Italia molti autori che sono stati considerati particolarmente d’avanguardia avevano già un’idea molto precisa di entrare in certe condizioni nella grande editoria e quindi avevano l’idea di vendersi già da prima. Un esempio in particolare potrebbe essere tutto il “Gruppo ’63”. Il “Gruppo ’63” ha lavorato per entrare, anche se loro dicono per entrare e cambiare, io dico che non hanno cambiato nulla se adesso pubblicano quello che pubblicano. Il fatto che, adesso, gli autori di punta del “Gruppo ‘63”sono la cosa più lontana dal loro progetto iniziale significa che, evidentemente, non sono entrati per cambiare, ma sono entrati per entrare.

Sul New Italian Epic debbo dire che a me sembra soltanto una presa per il culo. Uno studio recente ha dimostrato che in Italia esistono soltanto ottocentomila grandi lettori: ottocentomila persone vuol dire uno stadio italiano, non vuol dire chissà cosa. C’è di più: per “grandi lettori” in Italia si intendono persone che comprano cinque libri l’anno. Cinque libri l’anno potete ben immaginare di quali autori saranno: Faletti, Vespa, eccetera. Sorge, evidentemente, un problema. Il discorso di andare verso il “pop” è sbagliato, se i grandi lettori sono solo ottocentomila e comprano solo cinque libri l’anno, anche gli autori di successo in Italia magari potranno riempire un rave, ma non possono più di questo. Io, nel mio caso, posso riempire una festa, perché non sono un autore particolarmente di tendenza. Ma anche quelli particolarmente di tendenza possono riempire un rave, non vanno al di là di un rave, quindi è un falso. Io ho l’impressione che in questo modo, anzi, si disabituano coloro che frequentano i rave, che, invece di sentirsi un po’ di sana musica techno avanzata, sentono della disco dance anni ’70.

Il discorso sulla grande editoria può andare in parallelo con il sistema televisivo. “Le Iene” o “Striscia la Notizia” lavorano chiaramente per il governo, è bell’ evidente. Poi possono anche divertire, non è che se lavori per il governo non puoi essere divertente. Ma far apparire divertente il potere è una cosa gravissima. Perché col potere che abbiamo attualmente in Italia,così straccetto e straccione, c’è poco da ridere. Io sono contro la satira, sarei più per un po’ di serietà.

Ho scelto di non fare lo scrittore di professione, perché altrimenti non sarei stato libero, però, ovviamente, faccio il lavoro più vicino a quello dello scrittore, cioè insegno.

Un artista che fa l’artista come unico lavoro può vivere solo in dipendenza da quanto è grande il mercato al quale si propone. Prendiamo l’esempio di un grandissimo romanziere americano che vive solo del suo lavoro, sto parlando di Thomas Pynchon. Pynchon non soltanto può scrivere i suoi libri difficilissimi, ma può anche permettersi di non apparire, di essere completamente ritirato e quindi di non partecipare allo star system, perché, come sapete, di Pynchon non si sa nulla, c’è soltanto una fotografia di quando era giovanissimo dopodiché non si sa nulla. Pynchon vive soltanto con i proventi delle vendite dei suoi libri: questo perché il mercato americano è vastissimo. Il mercato di letteratura in lingua inglese è talmente vasto che anche questi autori che scrivono in maniera difficile hanno la possibilità di vivere del proprio lavoro. In Italia non è così: in Italia o fai Moccia o devi fare anche qualcos’altro. Nel discorso delle arti figurative penso che il mercato sia tutto dettato dalla critica, che il più delle volte non capisce granché, non è che i critici italiani brillino per arguzia. Penso che sia un sistema tutto molto drogato. Io credo che l’artista che vuole continuare a fare il proprio lavoro in maniera seria deve farlo senza scendere a compromessi e poi per vivere deve fare altro. Io insegno e quindi ce la faccio. Non cerco il diritto d’autore, anche perché, personalmente, sono contro il diritto d’autore.

Il problema sorge per coloro i quali vivono proprio di diritti d’autore. Questo problema me lo pongo in quanto sono un grande appassionato di musica e anche di musica rock. Me lo pongo quando si tratta dei miei gruppi preferiti, dei quali io tendenzialmente cerco di non piratare mai la musica. Perché amo moltissimo i miei gruppi e quindi faccio questo tipo di ragionamento: “ok, parte dei miei soldi voglio darli a loro”. O almeno credo, perché questo discorso è vero fino a un certo punto. In realtà questi copyright tutelano gli editori e non gli autori – stesso discorso per le case discografiche. Questo è il motivo per cui alcuni musicisti si sono fatti con molta difficoltà la loro etichetta, cambiando un po’ le regole del gioco, perché altrimenti loro si trovano ad essere letteralmente affamati dalle case discografiche che, invece, prendono un sacco di soldi. Bisogna quindi trovare un po’ delle forme alternative. Certo ai concerti un po’ di soldi te li fai, ma è anche faticoso. I musicisti che amo io sono tutti sessantenni, come ad esempio i King Crimson che hanno tutti superato i sessanta: come fanno a campare?

Per l’università vale lo stesso discorso che ho fatto per l’Italia, cioè che è stata berlusconiana prima di Berlusconi. Adesso c’è uno scontro in atto tra il governo e l’università o, se vogliamo dire, contro la cultura in generale, perché la cultura viene sempre vista come qualcosa di pericoloso, poiché sviluppa il pensiero critico. E’ chiaro che c’è uno scontro, però, come sempre, tutti gli scontri sono tra bande rivali, io questo lo so bene perché vengo da una città fortemente radicata nella malavita com’è Napoli. L’università a me andrebbe anche di difenderla, perché credo nel valore della cultura, credo nella possibilità di consegnare qualcosa alle generazioni successive, ma non posso non ammettere che l’università sia tendenzialmente un luogo malavitoso. E’ tutto taroccato, è tutto truccato. Lo scontro in atto tra governo e università è una lotta tra poteri, non a caso poi si scambiano colpi tra di loro e ognuno accusa l’altro di essere un “potere”. In realtà il potere con la P maiuscola non è mai esistito,esistono tanti poteri che creano un organo paragonabile al cervello, che come tale funziona con tutti i neuroni che si incrociano e cambiano costantemente, perché il nostro cervello cambia costantemente le sue sinapsi, è sempre quel cervello ma è ogni volta diverso. Il potere è così: un insieme di micro – poteri.

La via che io, di fronte a questo scenario, proporrei è quella della consegna. Credo che sia importante consegnare ad altri questo discorso che sto facendo adesso, consegnarlo e quindi farlo vivere. C’è un romanzo italiano come “Le confessioni d’un italiano”, che è molto bello, però mi rendo conto che è un romanzo molto lungo che pochissimi leggono. In questo romanzo Ippolito Nievo, che scrive prima di partecipare alla Spedizione dei Mille in cui morirà, si immaginava non a caso un personaggio di ottant’anni perché voleva attraversare tutta una fase delle rivoluzioni mancate, a partire dalla rivoluzione francese. Questo personaggio è arrivato a ottant’anni, c’ha provato, c’ha provato con la rivoluzione francese, c’ha provato con la rivoluzione del venti, c’ha provato sempre, ma non c’è riuscito, però scrive quelle memorie perché vuole consegnare questa conoscenza alle generazioni future, nella speranza che un domani qualcuno ce la possa anche fare.
Quando Nievo scrive quel romanzo lui è convinto che il progetto unitario sia fallito, come al solito le cose succedono all’improvviso, lui non si aspettava che poi ci sarebbe stato il ’59 e il ’60. Lui è convinto, dopo il fallimento del ’48, che ormai la reazione non si possa più fermare, che non ce la si possa più fare: è da questa idea pessimista che scrive il romanzo.

Io penso che tutti noi abbiamo sempre la sensazione del “non ce l’abbiamo fatta e non ce la faremo”, ma dobbiamo continuare a cercare di farcela, bisogna lasciare ad altri questa possibilità. Bisogna soprattutto fare in modo che ci siano altri che siano “fuori strada”, garantire per ogni generazione un gruppo di persone che siano “fuori strada”, che non rimanga allineato, che non si allinei al potere. Se si riesce a garantire questa vitalità magari prima o poi le cose possono anche cambiare.

La scelta che ho fatto con questo romanzo è una scelta molto radicale . E’ un romanzo che sta uscendo a puntate, più o meno nel periodo in cui lo scrivo, ma solo per i sottoscrittori. Ho spolverato una vecchia abitudine del settecento, del settecento inglese, per cui i romanzi si scrivono per coloro i quali l’hanno già comprato in anticipo perché si fidano di te. Questo metodo funziona perché in questo modo si abbatte tutto: non ce ne frega delle librerie, non ce ne frega della distribuzione e non ce ne frega neanche del recensore. Possiamo fare a meno di tutti questi ostacoli. C’è un gruppo che ti segue, che effettivamente si aspetta qualcosa da te, ti sta chiedendo delle cose e tu ottemperi quelle aspettative: questo mi sembra bellissimo, però il mio è un tentativo, soltanto un tentativo.

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