Meglio andare alla guerra da soli che andare alla pace in compagnia di De Signoribus


di Sergio Claudio Perroni

Da quando ha consegnato il tema, oggi per la prima volta sente di aver puntato sul poeta sbagliato.
Come tutti i maturandi, anche lei s’era preparata qualcosina contro la guerra, giusto per cavarsi d’impaccio in caso di penuria di idee specifiche (quale trattazione di argomento umanistico non trae profitto da una virtuosa rimpolpata di vibrante pacifismo? quale esaminatore oserebbe dichiarare fuori tema un’accorata perorazione della pace, madre di tutti i temi?). Diversamente dagli altri maturandi, però, lei quel qualcosina aveva deciso di prepararselo in ambito poetico.
Alta strategia liceale: se il pacifismo ti copre sull’ottanta per cento degli argomenti possibili, la poesia è il rincalzo tattico che fa la differenza in caso di sorprese. Sicché dàgli a cercare un illustre referente poetico da scodellare al momento del bisogno: qualcuno di provata fede pacifista, possibilmente contemporaneo ed eventualmente italico.
Dopo lungo e frenetico rovistare, la mamma, insegnante alle medie e assidua manifestarola arcobalenante, gliene aveva scovato uno – a suo dire – risolutivo: Eugenio De Signoribus, autore di Memoria dal chiuso mondo. E in effetti la controcopertina del volumetto parlava chiaro e pertinente: “Questa memoria è dedicata a quei popoli inermi e spaventati che si trovano a subire le devastanti guerre delle cosiddette superpotenze…”.
Subito a memoria, dunque, i versi con cui innescare o corredare gli eccipienti destinati a far volume: “Nel fortino abbarbicato | il rinchiuso formicaio | è incendiato dal becchino | il tribale mugiadino, | sotto l’occhio consensuale | del civile occidentale”. Filastrocche che facevi più in fretta a impararle che a scriverle sui fogliettini da sbirciare sotto il banco: “Tutti dentro gli assassini | gli assassini tutti fuori | una tavola di legge | li separa nei valori… | quando calano le bombe | portan giù manna e clamori”.
In virtù della struttura elementare e amena – e forse anche di quel cognome più da zia gozzaniana che da poeta – le s’era stampato in mente con l’evidenza indelebile delle buone cose di pessimo gusto perfino un cameo del Papa: “Mentre il bianco generale | parla stanco e intermittente… | e la gente meno sente | meno vede meglio sta”.
Poi, Santa Moratti, c’era stato il miracolo di scoprire fra le tracce d’esame non solo la poesia in persona, ma addirittura un’evocazione del suo trapasso degna appunto di una Nonna Speranza da Costanzo Show (“È ancora possibile la poesia nella società delle comunicazioni di massa?”), cui lei aveva opposto tre pagine imperniate sulle filastrocche civili del De Signoribus, a dimostrazione di quanto la poesia sia viva e combatta con noi.
Solo che adesso, alla Milanesiana, seduta fra la gente che ascolta incantata il portentoso Derek Walcott declamare i propri versi, capisce di aver puntato sul poeta sbagliato.
Ruggita da quel bucaniere bello e fiero come dovrebbe essere ogni poeta, l’onda migratoria dei profughi è “…the dark stain | spreading on maps whose shapes dissolve their frontiers | the way that corpses melt in a lime-pit”(“quella macchia scura | che si spande su topografie dai confini liquefatti | come salme in una fossa comune”), è una fiumana di sventurati per cui gli anni non hanno più che “only one season, one sky: | that of the rooks flapping like torn umbrellas” (“una sola stagione, un solo cielo: | quello dove frullano corvi come ombrelli laceri”).
Certo, c’è poeta e poeta. Certo, Walcott è un premio Nobel e De Signoribus un premio Montale. Ciò non toglie che lei, se anziché il paraponzi di “ora vanno nella notte | sui carretti a somarelli | ora a piedi e cenciarelli | verso un luogo di frontiera” avesse avuto in mente i carri di masserizie che i profughi di Walcott trainano a mano “for horses have long since galloped out of their field | back to the mythology of mercy” (“poiché i cavalli han fatto ormai da tempo e di gran carriera | ritorno alla mitologia della misericordia”), la vitalità della poesia l’avrebbe non solo dimostrata sul serio, ma ci avrebbe persino creduto.

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Alla guerra fa tottò
De Signoribus –
carriere dei piccoli.

Redazione
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