Marco Giovenale: ‘Shelter’, Donzelli 2010

Shelter

Marco Giovenale

pp. 120, 2010

Donzelli (collana Poesia)

Shelter significa “rifugio”, “riparo”, dunque vale come luogo ospitale, salvifico. Nelle poesie di Marco Giovenale, folte di immagini di case, di dimore e nascondigli, è però altrettanto chiaro ed evidente che ogni tetto e ricovero se da un lato salva e protegge, dall’altro segrega, rinchiude, separa, disegna una cella possibile. I due elementi si implicano, non c’è l’uno senza l’altro: in un costante flickering di scena tra asilo e prigione. Le poesie di questo libro, scritte nel solco di contrasti netti fra buio e luce, cioè fra maschere e figure e ritratti stagliati (incisi, neri) e luoghi di chiusura abbaglianti (abitazioni aperte, calcinate), sono veri e propri veloci discorsi sull’inermità e il rifugio, rispettosi della articolata sintassi del dolore che ci abita. I personaggi che vi compaiono – anche solo accennati – portano immediata con sé l’apparizione di uno scacco a cui si può sfuggire e che costantemente riappare. In questo senso, si potrebbe dire che Shelter dialoga a suo modo, idealmente, con i bianchi e i neri nettissimi, scanditi, iterati nel segno fotografico di Mario Giacomelli, o di Francesca Woodman, ai quali deve climi, pensiero, sguardo. Con questo libro di poesie di Giovenale compare forse l’opera ad oggi maggiore di uno dei poeti più noti della generazione dei nati negli anni Sessanta, dopo vari testi che lo hanno già più volte segnalato all’attenzione della critica letteraria. Giovenale era presente in Parola plurale (Sossella, 2005), Nono quaderno di poesia contemporaneanel (Marcos y Marcos, 2007), ed è stato fra i vincitori del premio di poesia Antonio Delfini (2009). Dopo il magmatico volume di versi e fotografie e prosa, La casa esposta, apparso nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa (Le Lettere, 2007), questo Shelter espande, modella e porta a compimento la ricerca e i risultati di una “poetica del luogo” che da tempo rende Giovenale noto nel luogo di luoghi per eccellenza: web, la rete – dove i suoi interventi costanti anche come critico e prosatore sono seguiti con attenzione.

 

Non si libera dagli aghi, se ne veste.

Vive nell’ultima stanza – ogni volta

sta varando il vascello con lo sguardo

nella fontana fuori, dove la potrebbero

condurre ma non vuole, dai sette anni

mentali e non mentali non si strecciano

il colore cenere – la testa, gli occhi.


Non possono trovarla assiderata.

Piuttosto a contare sul balcone, che sarebbe

il margine alfa della storia, da dove

la contesta e può ascoltarla; due

fibbie alle scarpe slacciate, rientra

sempre e cammina sempre scalza contro

la parete. Lì sta bene. Lì – dice alla fine

della casa – mi riconoscete.


Chi manca è più nitido,

si prende la ragione.


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