Patrizia Vicinelli: dai “Fondamenti dell’essere” a “Messmer”

I fondamenti dell’essere sono un’opera poetica in quattro tempi ( Il Cavaliere del Graal/ Il Tempo di Saturno/ Eros e Thanatos, il canto/ Attraversare il fiume ), il collegamento, insieme linguistico ed etico, rifletterebbe momenti diversi della percezione o tempi dello spirito, come illustra l’autrice. Nel saggio introduttivo alle Opere, Scheiwiller Editore, la Lorenzini afferma che “la logica della sistematizzazione è quanto di più lontano si possa immaginare da un’esperienza verbale che pulsa ed esplode nella gestualità e oralità”, osservazione su cui si può concordare con riserva, perché se da un lato è inevitabile sottolineare l’esuberanza performativa dei testi della Vicinelli, dall’altro è l’autrice stessa che nel titolo e nella partitura del quartetto ci fornisce le coordinate dalle quali non si può prescindere, anche se in corso d’opera verranno disattese.

Il quartetto allude quanto meno a un modello illustre come quello eliotiano, col quale s’individuano notevoli affinità e più notevoli discrepanze, ma pur sempre in rapporto dialettico. Il titolo stesso confermerebbe l’ipotesi se non fosse che la quadripartizione vicinelliana non ha la netta strutturazione simbolico – naturalistica dei “Four Quartets” (per cui, a Burt Norton corrisponde primavera e aria, ad East Coker: estate e terra, a The Dry Salvages: autunno e acqua e a Little Gidding: fuoco e inverno). In Vicinelli i rapporti sono resi inestricabili da continue interferenze, e su tutti campeggia l’elemento femminino dell’acqua, un’ossessione è la “Morte per acqua” che ricorre non solo in due poesie su quattro di questa sezione, ma ancora in un altro componimento all’interno di à,a.A per Lerici Editore, dove esplicito è il richiamo al Phlebas il fenicio di The Waste Land. Morte per acqua è motivo mistico, non solo catartico, di morte e rinascita, rito sacramentale e iniziatico.

Ma l’elemento liquido non trattiene la forma e lascia che i contorni si dissolvano verso un centro a- topico e a-cronico come già nei FQ, dove ad uno schema progressivo a stadi, si sostituisce un movimento concentrico di continuo superamento e sovrapposizione di opposti per implosione ed espansione e sprofondamento interiore. Ed è nel linguaggio che la circolarità di quel cammino si manifesta con tutta la pregnanza fonica dell’imprimatur, e quale ruolo la fonetica rivestisse per l’autrice si legge con evidenza nella seconda partitura del Tempo di Saturno, dove viene presentata la scansione visiva della riflessione – rifrazione fonetica.

E ancora il metodo mitico che subentra a quello narrativo accomuna Eliot e Vicinelli nello stesso debito a Frazer per i riti di Vegetazione e connesse note simbologie sessuali. Mitologie derivate a entrambi da una medesima concezione pessimistica del presente da tramonto spengleriano e connesse nostalgie del passato – futuro da socialismo utopico. Medesima concatenazione deterministica del fenomenico, bloccata in quel trinomio di nascita – copula – morte che in Vicinelli non perverrà mai alla riconciliazione fideistica eliotiana. E basta questa sola differenza invalidante a far crollare tutta l’impalcatura delle affinità. Unica sospensione al moto temporale resta quella creativa, l’arte che come in Burt Norton non crea il tempo metafisico, ma che sospende, s’impone qui come momentaneo tempo e pace ritrovati in una nuova e mitica età dell’oro, appunto il tempo di Saturno, che resta però conquista precaria e individualissima, quel “…camminare unico, per ognuno il suo creativo” .

Le analogie e le opposizioni si elidono a vicenda in quel continuo trasmutare dall’una all’altra forma, da morte a vita, da lui a lei, in una coincidentia oppositorum, dove gli equilibri e le stasi sono simultaneità di divergenze, un polemos padre di tutte le cose, una continua battaglia sotto la apparenze.

Ma quanto amore e morte si assomiglino, più che eludersi a vicenda, diviene evidente nel terzo componimento, Eros e Thanatos, il canto per antonomasia, quello “…sforzo del desiderio inarrestabile/ lo porta a osare fino a dove nessuno ha mai osato/ credere, sommando sommando/ essi modesti tolsero” “infrangere quello che è già dettato/ non lo puoi tanto a lungo mia dama, né/ lo puoi fuggire di più, mio cavaliere”. Il primo che trattò il binomio strettamente connesso, contro l’antagonismo freudiano, fu Denis De Rougemont in quella sorta di amore patologico in quanto smania di morte e, se non fossi portata per mia natura a dubitare delle coincidenze quando diventano troppe, sarei tentata di citare ancora Eliot che, nel ’54, in occasione dell’edizione inglese de L’Amore e l’Occidente, invitò personalmente De Rougemont ad approfondire revisionando. Ultimo movimento del quartetto Attraversare il fiume, presupporrebbe la svolta in quel salto esistenziale che aveva analizzato Kierkegaard in Timore e Tremore e che era mancato agli Hollow men lasciandoli al di qua del fiume e fatto guadagnare una salvezza fasulla e apparente a quegli stessi uomini ne Il Tempo di Saturno, inducendo il cavaliere che “Sempre ha scelto l’altra via” a credere di “Aver sbagliato di poco la direzione” finché non “si volta e trova luce egli si volta e trova/ luce…” mentre “I morti quelli sbattono uno contro l’altro/ nelle onde”.

Ed è di nuovo l’arte, l’elemento creativo, la Poesia ad essere implicata in questo momento mistico di rinascita, poesia ma a patto che diventi qualcosa di nuovo, altro da sé, “…movimento attivo/ senza ritorno…” e occorre adesso “prendere in mano la sorte del suo destino e integrarlo” “ricorda che era come tessere,/ fare tutt’uno del destino con la vita”. Eppure ancora una volta la risoluzione dei conflitti è differita in quello sguardo da lontano alla sponda e a tutto ciò che c’è nel mezzo, con la struggente didascalia: “Le creature così vaganti da impazzite, quasi mai/ raggiungono la riva, quasi mai infrangono lo specchio,/ raramente congiungono a sé la propria sorte,/ perché non si danno pace,oppure non si fermano”. Lo sguardo che si allarga su quella distesa e la sponda lontana è ancora lo stesso sguardo del cavaliere del Graal alla luna lontana, che non cerca e non aspetta niente, ma tiene la porta aperta. Ed è questa la sola fine, come “Il mio inizio è forse il solo inizio” ,( ed è per suggestione che io leggo “in my beginning is my end” ) perché: Non c’è arrivo non c’è sosta non

c’è partenza, ma il succedersi senza tregua.

(…)

l’aveva saputo dalla ruota che girava

mentre i mondi finivano, a volte.”

Renato Pedio, curatore delle Opere della Vicinelli per la Scheiwiller, All’insegna del pesce d’oro, nonché amico della poetessa, ha lasciato all’interno della raccolta la sua lettera di risposta all’autrice che gli sottoponeva i suoi scritti, trascrivo alcuni passi: “Dio parla nei labirinti e tu, Messmer, ne hai tre: tra donna e uomo, tra sesso e testa, tra, soprattutto, tra terra e stelle: questa è la novità dei versi(…). Il linguaggio della Messmer è molto più sperimentato, nella poesia c’è ineguaglianza sconcertante, passaci un detersivo, o meglio: almeno un poco portaci la Messmer a letto insieme. Quell’umana creatura che cerca il graal sul punto raso è pur sempre la Messmer…Non vedi? Nei versi c’è sempre e solo il genere maschile! Perdio, donna, mi offendi. Se è necessario inventati un pronome ma degnati di venirci insieme, non lasciarmi il Graal mentre ti tieni il sangue.”

Nella lettera Pedio si riferisce al romanzo intitolato appunto Messmer, pure compreso nelle Opere, la cui divergenza stilistica, emotiva, lessicale, umorale…rispetto alla raccolta poetica appena esaminata, risulta veramente sconcertante. Dirò che ad una prima lettura il romanzo mi prese veramente allo stomaco costringendomi a leggerlo tutto d’un fiato, con un impeto, un assalto che veramente poche volte mi è capitato. Al contrario, i versi, subito dopo mi parvero addirittura illeggibili, così diafani e sfuggenti rispetto alla prosa, addirittura brutti. Si trattava ovviamente di una mia superficialità, non avevo compreso che richiedevano un diverso approccio, un altro punto di osservazione, come programmaticamente dichiarava l’incipit del Graal, e che la stratificazione, la condensazione, l’accumulazione mitico – filosofica, richiedevano paziente decodifica, totalmente refrattari ad una prima lettura, al contrario della Messmer, per la quale, se a stento si sopravvive ad una prima lettura, fatale ne risulterebbe una seconda immediata. La Messmer ha quell’odore acre di femmina, di mestruo, di sesso che ti si appiccica addosso, che ripugna e sottomette allo stesso tempo. Eppure anche qui il cammino è all’insegna della circolarità, inizio e fine coincidono, e traccia di mito oscillante tra spiritualismo e materialismo, resiste anche in un’opera così cruda se io, in questo a differenza di Pedio, ci leggo un richiamo a quel Mesmer (con una s) fondatore del mesmerismo, una fisiologia in cui il corretto funzionamento dell’organismo è garantito da un flusso armonioso del cd”magnetismo animale”, il suo assioma era: “unica è la malattia,unico il farmaco che è il fluido universale o magnetico; la crisi è il mezzo per superare la malattia” , non so se è una mi suggestione il richiamo a “La mia vita e la mia morte sono la stessa avventura”. Per di più i due fattori principali dell’ipnomagnetismo ( uno dei tre indirizzi dell’azione terapeutica di Mesmer ), sarebbero: suggestione verbale e non verbale e sappiamo quanto la Vicinelli avessi dedicato alla riflessione fonetica, ma probabilmente sono supposizioni infondate. Quello che è certo è il ricorrere degli stessi temi, lo stesso dolore e la stessa passione che pulsa, la stessa donna….se superate vivi lo sconcerto, a voi il giudizio:

“Spasimava per sentirsi il liquore bruciare dentro come un’antica ferita almeno sono viva gridava da qualche parte del suo essere almeno qualcosa voglio, e non te, che mi hai tradito mille volte in modo diverso, non te che mi hai negato sempre(…)

io sogno di evadere tutto, di spezzare quando è costruito anche se ho paura a volte ma non mai abbastanza da fermarmi e pensare quiete, disse(…) e tante volte si immaginava chi avrebbe avuto il coraggio di sanare quelle ferite, di accarezzare senza schifo quelle ferite(…) ma ciò che tu non sai dei poeti, una storia di passioni violente, tu diresti innominabili, eppure l’unico nucleo di vita morte fino alla morte(…)

avrebbe voluto farglielo vedere fin dove poteva arrivare, a chiedere, se soltanto la riprendeva quel senso di nausea infinita(…) Messmer lo sapeva bene d’essere una spugna di poter ingurgitare più veleno d’un esercito se solo ci prendeva il ritmo(…) una frazione e l’indice del mio dolore insopportabile sarà abbassato, ancora una volta vi dimenticherò nefasti abitatori noiosi amici senza pensare ai nemici e ai carnefici e rosso è il mio sangue. (…) Tuttavia se la vita ti sceglie, è un viaggio vero nel viaggio senza sosta(…) Esaltante sapere che passa, esaltante(…)

Libera scelta dici? Senti, noi siamo degli eroi che non hanno avuto spazio e meglio sarebbe stato il suicidio d’un colpo, noi volevamo cambiare la nostra epoca e ci fu negato, eccetera, ma tu non capirai oppure capirai, borghese, fa lo stesso è che non hai partecipato. Ma vederne uno saltellare da un piede all’altro,perché si sente svuotato vedendoti perché io credo di sapere tu sei la sua anima quella che lui nella sua reazionaria ragione ha deciso di non avere, e vedere qualcuno l’orrendo perseguito, che se l’è tenuta a prezzo di quello che rintracci sul suo viso gli dà le vertigini, gli sembra di stare di fronte a un angelo satanico; Io so quel che mi dico, borghese.”

 

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