Umberto Fiori: Scrivere con la voce – una nota di Giorgio Maimone

Scrivere con la voce Canzone, rock e poesia

Umberto Fiori

2003, 154 p.

Unicopli (collana Contaminazioni. Strum. per la comunicaz.)

 

Ecco finalmente un gran bel libro, costruito attorno a un tema che a tutti coloro che seguono la musica d’autore appassiona e descritto dall’interno. Umberto Fiori, ora poeta e in precedenza cantante, chitarrista e autore per gli Stormy Six, nonché autore di saggi sulla musica e libretti d’opera, affronta la questione pregnante di questi tempi: il rapporto canzone d’autore/poesia e, estendendo il tema, rock/testi. L’unico aspetto vagamente negativo è che non si tratta, come quasi sempre accade, di un unico libro scritto sul tema, ma di una serie di saggi, usciti nel corso degli anni (in questo caso un ventennio tra il 1980 e il 2000) e di tema affine. Per quanto i saggi siano rivisti per la pubblicazione, mi riesce sempre difficile pensare che una persona in vent’anni non abbia elaborato un solo pensiero almeno parzialmente differente dal ventennio precedente. Se così fosse non deporrebbe a favore dell’elasticità di pensiero .

Altra pecca è che non vengono indicate le date dei singoli saggi: bisogna dedurle. Il fatto che il saggio su De André citi come disco più recente “Creuza de Ma” lo data entro gli anni ’80. Il saggio è peraltro magnifico e centrato, quando racconta De André come un ricercato di “paesaggi musicali nei quali collocare i suoi testi. Un De André interessato più “alle esigenze di quello che c’è da dire”, acui la melodia di base “può e deve piegarsi”. “Il suo rapporto con la musica è caratterizzato fortemente dalla volontà di liberare, per quanto possibile, il testo dai vincoli, dagli schemi obbligati, dagli appuntamenti che l’arte dei suoni tende ad imporre. In fondo l’idea di questo autore (ideale mai realizzato integralmente) sembra essere quello di un testo cantato, che si muova secondo l’impulso variabile della melodia, del discorso e del respiro, sopra un accompagnamento il più possibile fluido, più armonico che ritmico. Nella produzione più matura la ricerca di una parola che danza sulle gabbie della musica è particolarmente evidente”. Geniale.

Alla ricerca delle date dei singoli saggi, il primo “Tra quaresima e carnevale”, non portando nelle note niente di successo al 1980, dovrebbe appartenere a quell’anno, mentre il saggio su Peter Gabriel parla di un disco uscito nel 1982 e cita date ulteriori, quindi potrebbe essere di metà degli anni ’80. “Servono al rock le parole” parte dalle dichiarazioni di Edoardo Bennato del 1987 sull’inutilità dei testi nel rock e quindi non può essere stato scritto che attorno a quella data, come reazione immediata. “Poesia e canzone all’alba del novecento”potrebbe essere stata scritta in qualsiasi momento da inizio secolo scorso in qua, mentre “I poeti italiani e la canzone” è materiale successivo alla metà degli anni ’90. Recente “L’idea della poesia nella canzone italiana” e antico “La parola nel rock”, sempre prendendo come base le citazioni utilizzate. (E in realtà lo afferma anche Fiori nell’introduzione, prendendone in parte le distanze).

L’assunto attorno a cui si dibatte è: “è il cantautore un poeta?” Tema ormai classico a partire dall’inizio di questo millennio, quando i cantautori hanno iniziato a scrivere libri, elzeviri, saggi, tenere lezioni, a essere inglobati nelle antologie scolastiche, trasformandosi in veri e propri “maître à penser” e, dopo la morte di Fabrizio De André, arrivando al lauro di “poeti assoluti”, anzi “i più grandi poeti contemporanei”. Hanno voglia i cantautori e creare distinguo e a spiegare che si tratta di due aree diverse, una destinata alla carta e l’altra alla voce, l’identificazione a livello popolare c’è. Non pago di indagare su questo, Fiori compie un passo in più: qual è la responsabilità dei poeti in tutto questo? Qual è stato il rapporto, contrastato e difficile, dei poeti con la musica? E lo fa benissimo perché ne parla dall’interno, come autore di diversi libri di poesia, molto ben accolti da critica e pubblico (tra cui “La bella vista”, “Tutti”, “Parlare al muro”, “Chiarimenti”, che resta il mio preferito).

“Da quando ha iniziato ad aspirare a una legittimazione culturale e artistica la canzone è in polemica più o meno diretta con la parole scritta e, in particolare, con la poesia, o per meglio dire con il fantasma che della poesia si è costruita”. Da qui il richiamo alla tradizione troubadorica e citazione di Dante annessa (risparmio il latino): “la canzone … è un’azione in sé compiuta di chi scrive parole armonicamente disposte, in vista della modulazione melodica”, dove l’accento principale è sulla parole e solo in seconda istanza sulla musica. Ma Fiori nel suo saggio non tira somme, non prende nessuna posizione preconcetta o polemica: espone dati e idee, debolezze dell’una e dell’altra fazione. C’è poesia nella canzone e c’è musica nelle parole sembra un dato acclarato, ma andando subito sotto questa superficie è possibile dividersi fino al dispetto.

Domande non retoriche sono: “se la canzone incarna la vera natura della poesia, perché la poesia viene identificata con la parole scritta? E ancora: se un verso cantato è tanto più accessibile e piacevole di un verso scritto, perché c’è chi si ostina a rinchiudere la poesia nei libri?”. Una lotta per l’emancipazione che finisce sempre per ingigantire in modo abnorme il feticcio che si vuole abbattere. Gli ultimi punti di contatto tra poesia e canzone datano i tempi precedenti alla prima guerra mondiale. Da lì in poi andranno allontanandosi sempre più (anche se più avanti lo stesso Fiori analizza il rapporto di letterati come Calvino, Pasolini, Simonetta, Fortini e Fo con la canzone, fino a Roberto Roversi, ultimo del suo genere).

Resta solo da segnalare “Poeti con e senza bocca” che, per l’appunto, esamina l’altra faccia della luna. Dopo lo scavalcamento di inizio millennio, come stanno ora i poeti nelle loro “riserve indiane”, cosa pensano e come reagiscono. Quali colpe e meriti hanno? Ad esempio una colpa è stata quella di “non avere un corpo e di essere solo scrittura”. Ma a pensarci bene “a potenziare questo difetto la tradizione occidentale ha lavorato per secoli: il percorso della scrittura poetica maggiore è stato anche un allentamento dalla voce, dalla presenza viva, alla ricerca dell’essenza più profonda del linguaggio, di quella assenza che lo costituisce”.

Tutto da leggere. Uno dei pochi libri indispensabili sulla parola cantata:“Scrivere con la voce” di Umberto Fiori.

(di Giorgio Maimone su Il Convivio, 2005)

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